Raimondo di Sangro, principe di Sansevero nasce a Torremaggiore il 30 gennaio 1710 e lascio le spoglie mortali a Napoli, 22 marzo 1771, è stato un nobiluomo, esoterista, inventore, anatomista, militare, alchimista, massone, mecenate, scrittore, letterato e accademico italiano, originale esponente del primo Illuminismo europeo.
Personalità estremamente eclettica e poliedrica, Raimondo si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica all’idrostatica, dalla tipografia alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” ai contemporanei.
Conosciuto anche per antonomasia come “il Principe”, il nome di Raimondo è indissolubilmente legato alla Cappella Sansevero, il mausoleo di famiglia che riorganizzò e abbellì, in cui l’opera d’arte più significativa è certamente il celebre Cristo velato di Giuseppe Sanmartino.
Raimondo di Sangro alimentò un vero e proprio mito intorno alla propria persona, destinato a durare nei secoli.
Con la sua poliedrica attività, ancor oggi avvolta da un alone di mistero, egli incarnò i fermenti culturali e i sogni di grandezza della sua generazione.
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Nel 1737 Raimondo aderì pure alla Massoneria, un’associazione che provvedeva al riverbero degli ideali dell’Illuminismo europeo, venendo iniziato nella Loggia del duca di Villeroy a Parigi ; in breve la cosa si seppe, suscitando un «intrigo» che parve «il maggior del mondo».
Nel 1744 divenne venerabile maestro della Loggia la Perfetta Unione, ed il 10 dicembre del 1747 fondò nel suo Palazzo di Famiglia una “Cerchio Interno” alla sua Loggia, che definì Rosa d’Ordine Magno, dalla quale prese vita il Rito Egizio Tradizionale.
Nel 1750 divenne gran maestro della Massoneria napoletana. Neanche un anno dopo, infatti, Carlo III – indotto dalla pubblicazione della bolla Providas Romanorum di Benedetto XIV – promulgò un editto con il quale condannò i membri della «rispettabile Società» e chi li frequentasse: a Raimondo non restò che rinunciare, sotto la fede del giuramento, all’appartenenza alla Massoneria, il che non gli impedì di continuare ad essere con il massimo riserbo dovuto, Gran Maestro della Rito Egizio Tradizionale.
I rapporti con la Santa Sede, tuttavia, s’inasprirono ulteriormente quando il Principe pubblicò nel 1751 la Lettera Apologetica dell’Esercitato Accademico della Crusca contenente la Difesa del libro intitolato Lettere d’una Peruana per rispetto alla supposizione de’ Quipu scritta alla Duchessa di S**** e dalla medesima fatta pubblicare.
L’opera, nel tessere le lodi di un antico sistema comunicativo peruviano, trattava tuttavia temi giudicati pericolosi, con frequenti rimandi alla cabala e – secondo le malelingue – all’esoterismo e con fitte citazioni a diversi autori eterodossi che animavano l’Illuminismo radicale dell’epoca. Queste caratteristiche non dovettero piacere ai censori dell’Inquisizione romana che, nel 1752, misero la Lettera all’Indice dei libri proibiti dall’autorità ecclesiastica; neanche l’invio di una Supplica (1753) scritta per mano di Raimondo al pontefice servì per far derubricare l’opera dall’Indice.
Disilluso, Raimondo si dedicò con assoluta e piena dedizione all’attività inventiva, installando nei sotterranei del proprio palazzo un laboratorio «con ogni sorta di fornelli», grazie ai quali generò un misterioso lume perpetuo. Ciò malgrado, l’attività che più tenne impegnato il Principe in questi anni fu la realizzazione del progetto iconografico della Cappella, posto in essere dai vari artisti che assunse alle proprie dipendenze: fu così che vennero alla luce sculture dal ricco simbolismo, quali il Cristo velato, della Pudicizia e del Disinganno, oggi considerate capolavori dell’arte mondiale.
La Cappella Sansevero
Situata nel centro storico di Napoli, la Cappella Sansevero è un gioiello del patrimonio artistico mondiale, una vera e propria “dimora filosofale” nel cuore di una città esoterica qual è il capoluogo partenopeo.
Una sorta di tempio iniziatico in cui il suo ideatore, il principe Raimondo di Sangro, riuscì a trasfondere la sua geniale e poliedrica personalità.
Un luogo in cui splendore e mistero, simbologia massonica ed esoterica, creatività artistica e orgoglio dinastico, si mescolano creando un’atmosfera unica, fuori dal tempo e dallo spazio.
Mentre una leggenda vuole che la chiesa sia stata eretta su un preesistente antico tempio dedicato alla dea Iside, un’altra, riportata nel 1623 da Cesare d’Engenio Caracciolo nel suo Napoli Sacra, narra che un uomo, ingiustamente arrestato, veniva tradotto verso il carcere quando, transitando lungo il muro della proprietà dei Sansevero, si votò alla Santa Vergine. Improvvisamente, parte del muro crollò, rivelando un dipinto (quello posto nella cappella in cima all’altare maggiore) proprio della Vergine invocata, una pietà che darà poi il nome alla chiesa, intitolata appunto a Santa Maria della Pietà. La devozione dell’arrestato non fu riposta invano giacché, poco tempo dopo, ne venne riconosciuta l’innocenza. Scarcerato, l’uomo, memore del miracolo, fece restaurare la Pietà, disponendo che al suo cospetto ardesse per sempre una lampada in argento.
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Il luogo sacro divenne presto meta di pellegrinaggio popolare e conseguente oggetto di invocazioni. Anche il duca di Torremaggiore, Giovan Francesco di Sangro[A 1], colpito da grave malattia si votò a questa Madonna e in seguito avendo recuperato la salute fece erigere la piccola cappella di Santa Maria della Pietà, comunemente detta la Pietatella.
Secondo studi recenti, la vera origine della cappella sarebbe invece da far risalire all’omicidio, compiuto nella notte tra il 16 e il 17 ottobre 1590 da Carlo Gesualdo da Venosa, in cui morirono Maria d’Avalos, moglie di Carlo Gesualdo, e l’amante di lei Fabrizio Carafa, figlio di Adriana Carafa della Spina, moglie in seconde nozze di Giovan Francesco di Sangro e prima principessa di Sansevero. In conseguenza di questo evento luttuoso, la madre di Fabrizio Carafa avrebbe fatto edificare la cappella, pensandola come voto alla Madonna per la salvezza eterna dell’anima del figlio. A riprova di tale ipotesi, l’iscrizione in latino «Mater Pietatis», presente sulla volta della Pietatella e contenuta in un sole raggiante, rappresenterebbe il voto di dedica dell’edificio alla Madonna.
Qualunque sia stata la sua origine, è accertato che i lavori edili per la costruzione della chiesetta gentilizia iniziarono nel 1593, come si deduce da alcune polizze in possesso del Banco di Napoli. Già venti anni più tardi Alessandro di Sansevero (figlio di Giovan Francesco), Patriarca di Alessandria e Arcivescovo di Benevento, decise di ampliare la preesistente, piccola costruzione, per renderla degna di accogliere le spoglie di tutti i di Sangro, come testimoniato dalla lapide marmorea datata 1613 posta sopra l’ingresso principale dell’edificio.
Nel Seicento
Dal momento che l’assetto del tempio gentilizio venne riorganizzato da Raimondo di Sangro nel Settecento, ben poco rimane della Pietatella del XVII secolo. Il restauro settecentesco mantenne inalterate le dimensioni perimetrali e quattro dei mausolei laterali. Oltre a ciò, dell’originale cappella seicentesca è rimasta solo la decorazione policroma dell’abside e quattro statue.
Grazie a documenti dell’epoca, tuttavia, ci è dato sapere che già nel Seicento la cappella disangriana doveva essere caratterizzata da un elevato valore artistico. Basti pensare che Pompeo Sarnelli, nella sua Guida de’ forestieri, curiosi di vedere, e d’intendere le cose più notabili della regal città di Napoli, e del suo amenissimo distretto, la descrisse come:
«[…] grandemente abbellita con lavori di finissimi marmi, intorno alla quale sono le statue di molti degni personaggi di essa famiglia co’ loro elogi»
Appartengono alla fase seicentesca della cappella il monumento al primo principe di Sansevero Giovan Francesco di Sangro, realizzato probabilmente da Giacomo Lazzari nella prima metà del XVII secolo e collocato nella seconda cappella laterale sulla sinistra; la statua del secondo principe Paolo di Sangro, di incerta attribuzione e situata nella prima nicchia sulla destra; il monumento a Paolo di Sangro quarto principe di Sansevero che si trova nella prima nicchia sulla sinistra, opera del 1642 di Bernardo (o Bernardino) Landini e Giulio Mencaglia; e il monumento al Patriarca di Alessandria Alessandro di Sangro, situato nel lato sinistro della cappella nei pressi dell’altare e opera di un artista ignoto.
Il Settecento
La sistemazione seicentesca della cappella fu stravolta a partire dagli anni ’40 del Settecento, quando il principe Raimondo di Sangro iniziò ad ampliarla e a commissionare diverse opere d’arte con cui arricchirla, al fine di creare un luogo che testimoniasse la grandezza del suo casato.
Negli anni successivi, il principe Raimondo ingaggiò artisti di fama internazionale quali Giuseppe Sanmartino, Antonio Corradini, Francesco Queirolo e Francesco Celebrano: è in questo periodo che vennero realizzati capolavori come il Cristo velato, il Disinganno e la Pudicizia. Raimondo impiegò buona parte delle sue sostanze, e in più occasioni dovette anche contrarre dei debiti, per portare a compimento la realizzazione della cappella.
Era un committente generoso, ma anche molto esigente e spesso dirigeva personalmente i lavori, affinché le opere corrispondessero pienamente al ruolo che era stato loro stabilito all’interno del grande progetto iconografico della cappella. In alcuni casi, fu lo stesso Principe a realizzare anche i materiali utilizzati, come per il cornicione sopra gli archi delle cappelle laterali o per i colori dell’affresco sulla volta.
Alla fine dei lavori, all’esterno della porta laterale della Pietatella fu posta una lapide, che riporta la data del 1767.
«Chiunque tu sia, o viandante, cittadino, provinciale o straniero, entra e devotamente rendi omaggio alla prodigiosa antica opera: il tempio gentilizio consacrato da tempo alla Vergine e maestosamente amplificato dall’ardente principe di Sansevero don Raimondo di Sangro per la gloria degli avi e per conservare all’immortalità le sue ceneri e quelle dei suoi nell’anno 1767. Osserva con occhi attenti e con venerazione le urne degli eroi onuste di gloria e contempla con meraviglia il pregevole ossequio all’opera divina e i sepolcri dei defunti, e quando avrai reso gli onori dovuti profondamente rifletti e allontanati»
L’iscrizione presente sulla porta laterale della Cappella Sansevero
Il Cristo velato
Il Cristo velato è una scultura marmorea di Giuseppe Sanmartino, conservata nella cappella Sansevero di Napoli.
L’opera, realizzata nel 1753, è considerata uno dei maggiori capolavori scultorei mondiali, ed ebbe tra i suoi estimatori Antonio Canova che, avendo tentato – senza successo – di acquistare l’opera, dichiarò che sarebbe stato disposto a dare dieci anni della propria vita pur di essere l’autore di un simile capolavoro.
Raimondo di Sangro fu il committente di quest’opera, che originariamente doveva essere collocata nel mausoleo di famiglia sottostante la Cappella, vano che oggi ospita le Macchine anatomiche. Un piastrone di pietra indica oggi il punto preciso ove la statua avrebbe dovuto essere posta. L’incarico di eseguire il Cristo velato fu in un primo momento affidato allo scultore Antonio Corradini; tuttavia, deceduto da lì a breve, questi fece in tempo a realizzare solo un bozzetto in terracotta oggi al museo nazionale di San Martino. L’incarico passò così a Giuseppe Sanmartino, a cui venne affidato l’incarico di produrre «una statua di marmo scolpita a grandezza naturale, rappresentante Nostro Signore Gesù Cristo morto, coperto da un sudario trasparente realizzato dallo stesso blocco della statua».
Sanmartino realizzò quindi un’opera dove il Cristo morto, sdraiato su un materasso, viene ricoperto da un velo che aderisce perfettamente alle sue forme. La maestria dello scultore napoletano sta nell’esser riuscito a trasmettere la sofferenza che il Cristo ha provato, attraverso la composizione del velo, dal quale si intravedono i segni sul viso e sul corpo del martirio subito. Ai piedi della scultura, infine, l’artista scolpisce anche gli strumenti del suddetto supplizio: la corona di spine, una tenaglia e dei chiodi.
Matilde Serao, grande cultrice della scultura, ci restituisce una descrizione assai vivida del Cristo:
«Sopra un largo piedistallo è disteso un materasso marmoreo; sopra questo letto gelato e funebre giace il Cristo morto. È grande quanto un uomo, un uomo vigoroso e forte, nella pienezza dell’età. Giace lungo disteso, abbandonato, spento: i piedi dritti, rigidi, uniti, le ginocchia sollevate lievemente, le reni sprofondate, il petto gonfio, il collo stecchito, la testa sollevata sui cuscini, ma piegata sul lato dritto, le mani prosciolte. I capelli sono arruffati, quasi madidi del sudore dell’agonia. Gli occhi socchiusi, alle cui palpebre tremolano ancora le ultime e più dolorose lagrime. In fondo, sul materasso sono gettati, con una spezzatura artistica, gli attributi della Passione, la corona di spine, i chiodi, la spugna imbevuta di fiele, il martello […] E più nulla. Cioè no: sul Cristo morto, su quel corpo bello ma straziato, una religiosa e delicata pietà, ha gettato un lenzuolo dalle pieghe morbide e trasparenti, che vela senza nascondere, che non cela la piaga ma la mostra, che non copre lo spasimo ma lo addolcisce»
La firma dello scultore, infine, è apposta sul retro del piedistallo, sotto il materasso: «Joseph Sammartino, Neap., fecit, 1753».
Attualmente il Cristo Velato si trova al centro della Cappella San Severo, di fronte all’altare maggiore; tuttavia questa non è stata la sua originaria collocazione: alcune fotografie risalenti all’inizio del XX secolo lo mostrano prospiciente alla navata sinistra, proprio sotto la scultura della Pudicizia.
Leggenda del velo
La magistrale resa del velo, «fatto con tanta arte da lasciare stupiti i più abili osservatori» (per usare le stesse parole del principe di Sansevero), ha nel corso dei secoli dato adito a una leggenda secondo cui il committente, il famoso scienziato e alchimista Raimondo di Sangro, avrebbe insegnato allo scultore la calcificazione del tessuto in cristalli di marmo. Da circa tre secoli, infatti, molti visitatori della Cappella, colpiti dal mirabile velo scolpito, lo ritengono erroneamente esito di una “marmorizzazione” alchemica effettuata dal principe, il quale avrebbe adagiato sulla statua un vero e proprio velo, e che questo si sia nel tempo marmorizzato attraverso un processo chimico.
In realtà una attenta analisi non lascia dubbi sul fatto che l’opera sia stata realizzata interamente in marmo, e questo è anche confermato da alcune lettere dell’epoca. Una ricevuta di pagamento a Sanmartino in data 16 dicembre 1752, firmata dal Principe e conservata presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, recita infatti:
«E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo.»
La scoperta della compianta studiosa napoletana Clara Miccinelli nell’Archivio Notariale di Napoli e in parte in una collezione privata.
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Nell’Archivio Notarile Distrettuale è stato rintracciato il contratto tra Raimondo di Sangro ed il Sammarino per la realizzazione della Statua.
In esso si legge che il 25 novembre 1752, alla presenza del notaio Liborio Scala, le parti, il Principe ed il Sammartino, si accordano sulla realizzazione del Cristo Velato.
Lo scultore si impegna ad eseguire “di tutta bontà e perfezionare una statua raffigurante Nostro Signore Morto al Naturale da porre situata nella Chiesa Gentilizia di D. Sig. Principe (….) cioè un Cristo Velato steso su d’un materasso che sta sopra a un panneggio e appoggia la testa su due cussini apprè del medesimo del medesimo vi stanno scolpiti una Corona di spine tre chiodi e una tenaglia”; Raimondo di Sangro, oltre a procurare il marmo necessario, si obbliga “ad apprestare una Sindone di tela tessuta, la quale doverà essere depositata sovra la scultura; acciò dipoichè, essoPrincipe l’haverà lavorata secondo sua propia creazione; e cioe una deposizione di strato miniutioso di marmo composito in grana finissima sovrapposto al velo.
Il quale strato di marmo dell’idea del Sig.Principe, farà apparire per la suadell’idea del Sig. Principe, fara apparire per la sua finezza sembiante il nostro signore dinotante come fosse scolpito di tutto con la statua. Viceversa il riferimento Sig. Joseph S. Martino si obbliga purache alla politura ed allustrura della sindone; di tal arte per lo sbalordimento…
Una ricevuta di pagamento a Sanmartino in data 16 dicembre 1752, firmata dal Principe e conservata presso l’Archivio Storico del Banco di Napoli, recita infatti:
«E per me gli suddetti ducati cinquanta gli pagarete al Magnifico Giuseppe Sanmartino in conto della statua di Nostro Signore morto coperta da un velo ancor di marmo.»
Però lo stesso di Sangro, in alcune lettere, descrive il velo come realizzato dallo stesso blocco della statua, senza l’utilizzo di alcun espediente alchemico.
I meravigliati viaggiatori…
Già nel Settecento numerosi viaggiatori, anche illustri, si sono recati a Napoli per ammirare la statua. Si racconta che Antonio Canova rimase talmente colpito dall’opera che avrebbe dato dieci anni della propria vita pur di poterne vantare la paternità, e che durante una sua visita a Napoli provò anche ad acquistarla.
Tra gli altri estimatori del marmo, il marchese de Sade, che elogiò «il drappeggio, la finezza del velo […] la bellezza, la regolarità delle proporzioni dell’insieme»; Riccardo Muti, come testimonia l’immagine del Cristo velato scelta come copertina del Requiem di Mozart da lui diretto; lo scrittore Héctor Bianciotti, il quale fu colto da una sindrome di Stendhal mentre ammirava il velo «piegato, spiegato, riassorbito nelle cavità di un corpo prigioniero, sottile come garza sui rilievi delle vene»; e infine, il poeta siriano Adonis, che ha ritenuto il Cristo velato «più bello delle sculture di Michelangelo».
Vale la pena altresì ricordare che la regione Campania nel 2008 scelse il volto del Cristo per rilanciare l’immagine di Napoli.
La statua della Pudicizia
Antonio Corradini, 1752.
Con il Cristo velato e il Disinganno, la Pudicizia forma la terna d’eccellenza artistica della Cappella Sansevero, canonizzata da viaggiatori, guide e storici dell’arte sin dal ’700. Il monumento è dedicato da Raimondo di Sangro alla memoria della “incomparabile madre”, Cecilia Gaetani dell’Aquila d’Aragona, morta il 26 dicembre 1710, quando Raimondo non aveva ancora compiuto un anno.
La Pudicizia fu realizzata nel 1752 dal veneto Antonio Corradini, scultore di fama europea già al servizio dell’imperatore Carlo VI a Vienna, chiamato dal principe di Sansevero come co-ideatore ed esecutore del progetto iconografico del suo tempio gentilizio (ma Corradini, come ricorda una lapide apposta da di Sangro perpendicolarmente al pilastro della Pudicizia, morì nello stesso 1752 “dum reliqua huius templi ornamenta meditabatur”).
L’artista, che pure aveva scolpito altre figure velate, raggiunge qui un altissimo grado di perfezione nel modellare il velo posto sul corpo della donna con eleganza e naturalezza, come se il vapore esalato dal bruciaprofumi contribuisse a rendere umido e straordinariamente aderente alla pelle lo strato impalpabile, cinto da un serto di rose. Lo sguardo perso nel tempo, l’albero della vita, la lapide spezzata sono i simboli di un’esistenza troncata troppo presto e palesano il dolore del figlio Raimondo, che volle così tramandare fattezze e virtù della giovane madre. Al tema vita/morte fa esplicito riferimento anche il bassorilievo sul basamento, con l’episodio evangelico del Noli me tangere, in cui Cristo appare alla Maddalena in veste d’ortolano.
L’intento di celebrare Cecilia Gaetani non basta a spiegare il significato di questa statua. La donna coperta dal velo è interpretabile come allegoria della Sapienza, e il riferimento alla velata Iside, dea prediletta dalla scienza iniziatica, pare chiarissimo (senza contare che una lunga tradizione, invero non riscontrabile, ritiene che la Pudicizia sia posta nel medesimo luogo in cui si ergeva la statua di Iside nella Neapolis greca). Gli storici dell’arte Joseph Rickwert e Rosanna Cioffi, inoltre, hanno rilevato che la Verità velata incisa al centro del frontespizio della celebre Encyclopédie settecentesca ricorda molto da vicino la Pudicizia del Corradini, scultore del quale è peraltro accertata l’affiliazione massonica. La quercia che erompe dalla nuda pietra, infine, è da alcuni ritenuta allusione all’arbor philosophica.
Invenzioni di Raimondo di Sangro
L’elegante carrozza marittima mentre solca le onde di gran carriera, con tanto di cavalli e cocchiere.
Rinomato come scienziato e sperimentatore, nel corso della sua vita Raimondo di Sangro diede la luce a numerose invenzioni, con cui spesso di dilettava a stupire i propri contemporanei. Molte di esse sono andate perdute, anche perché il Principe non amava descrivere i dettagli delle sue creazioni, ma sono ricordate in testi settecenteschi o attraverso gli scambi epistolari tra Raimondo e i suoi amici.[50] Tra le invenzioni più famose è possibile citare:
Il palco pieghevole, realizzato per una esibizione nel cortile del Collegio Romano dei Gesuiti dove Raimondo, ancora diciannovenne, stava studiando nel 1729;[48]
Il lume perpetuo (o lampada eterna), una lampada in grado di bruciare per tre mesi senza consumarsi. Sebbene l’opera non fu mai vista da alcun testimone, Raimondo la descrive accuratamente in una lettera mandata all’amico Giovanni Giraldi;[48]
La carrozza marittima, una carrozza con tanto di cavalli grazie alla quale stupì i suoi concittadini nel 1770 solcando le acque del Golfo di Napoli senza bisogno di remi; in realtà i cavalli erano di sughero e la carrozza si muoveva grazie a un sistema di pale a forma di ruote.[48]
Una macchina idraulica, con la quale sarebbe stato possibile far arrivare l’acqua a notevoli altezze senza l’aiuto di animali;[48]
Le gemme artificiali, praticamente indistinguibili dalle vere pietre preziose;[48]
La stampa simultanea a più colori: avendo creato un laboratorio tipografico nel palazzo di famiglia era riuscito a scoprire (come descrive una fonte settecentesca) «un nuovo modo d’imprimere a una sola tirata di torchio, e a un medesimo tempo, qualsivoglia figura sì d’uomini, come di fiori, e d’ogni altra cosa variamente colorita».[48]
Letture
A bordo della sua carrozza,entra o esce dal suo palazzo nel centro di Napoli il
Principe di Sansevero, «Signore di corta statura, di gran capo, di bello e
gioviale aspetto, filosofo di spirito, molto dedito nelle meccaniche, di
amabilissimo e dolcissimo costume, studioso e ritirato, amante la
conversazione di uomini di lettere», come lo descrive l’illuminista Antonio
Genovesi.
Entra in scena e subito la domina: i vicoli si animano,mille occhi curiosi
furtivamente scrutano dalle finestre,da dietro i carretti,dai crocchi,dalla chiesa e
dall’osteria. Tutta la massa del popolo che si assiepa intorno al suo palazzo
rispetta e riverisce “ sua Eccellenza ‘O Principe” ma anche lo teme. “Ssst jesce
‘o Principe”.
Dai bassi e dalle botteghe sguardi indagatori seguono,senza darlo
a vedere la carrozza con i valletti,nell’intento di scoprire la destinazione del
Principe.
E’ un personaggio strano,come il suo palazzo,e quella sua chiesetta che ha
riempito di statue strane che non si capisce che hanno a che fare con la
religione: Come quella donna “ che da sotto un velo di marmo trasparentissimo
ti sbatte in faccia due zizze belle tonde e che lui ha chiamato La Pudicizia”,o
quel “povero cristo di pescatore finito nella sua stessa rete e che si dibatte per
liberarsi e che ha chiamato il Disinganno”.
Il popolo rispetta e teme il Principe,ma non lo capisce. E come potrebbe?
Raimondo di Sangro, Principe di Sansevero, è senza dubbio uno dei
personaggi più affascinanti e misteriosi del Settecento napoletano. Non si può
comprenderne appieno la figura,o capire l’essenza delle sue opere se non si
considerano le sue origini ed il contesto storico in cui visse.
Discendente da stirpe Carolingia,e dalla casata dei duchi di
Borgogna,Raimondo nasce il 30 gennaio 1710 a Torremaggiore, in provincia di
Foggia, da Antonio di Sangro e da Cecilia Gaetani d’Aragona, famiglie di
antichissimo lignaggio, che vantavano ascendenze al medio evo, un’eredità
che li poneva in una posizione di autonomia e privilegio rispetto alle varie
dominazioni succedutesi a Napoli.
La personalità di Raimondo fu influenzata dalle vicende dei genitori. La madre
Carlotta era morta quando il Principe aveva un anno; era figlia di Aurora
Sanseverino e Nicola Gaetani, intellettuali, mecenati di filosofi e di artisti come
Vico e Solimena, fautori dello sviluppo di un pensiero rinnovatore che i primi del
1700 poteva apparire rivoluzionario. Ma altri personaggi nella stessa casata
influenzeranno notevolmente il pensiero e le opere di Raimondo: l’abate del
monastero benedettino di Montecassino, S.Berardo, S.Oderisio,il Vescovo
Leone Ostiense autore dei primi libri della Cronica Casinensis. Il ramo
paterno, di tradizione militare, annoverava numerosi condottieri al servizio
dell’esercito spagnolo lungo tutto l’arco del vicereame. Ma è soprattutto nel
periodo asburgico (1705-1734), dopo la morte di Carlo II di Spagna, che la
famiglia di Sangro divenne particolarmente potente. Il nonno, Paolo di Sangro,
si era guadagnato il titolo di Grande di Spagna, di prima categoria, per sé e per
i suoi discendenti maschi, oltre a tutti gli incarichi ufficiali presso la corte.
La figura del nonno paterno ha un ruolo fondamentale nella formazione
di Raimondo, poiché è alle sue cure, cui era stato affidato da piccolissimo, che
si deve lo sviluppo intellettuale del Principe e il suo amore per la ricerca.
Raimondo era stato mandato a Roma a studiare presso i Gesuiti dove era
entrato in contatto con una cultura orientata sia in senso umanistico che
scientifico,e per entrambe le branche del sapere Raimondo aveva manifestato
interesse ed inclinazione.
Fu scrittore arguto e brillante, intellettuale illuminato dall’ingegno vivacissimo
e dai molteplici interessi, dedito a studi e ricerche spesso discutibili. La sua
conoscenza del pensiero dell’epoca, è dimostrata dalla sua biblioteca: 1600
volumi circa con opere autografe di Pierre Bayle, Denis Diderot, Montesquieu,
Voltaire, Condillac, Rousseau, e tanti altri.
Innumerevoli le opere a carattere tecnico-scientifico.
L’unico testo di carattere cabalistico era Il Conte di Gabalis, scritto dall’abate
francese Villars de Mountfauçon, che il Principe aveva nell’edizione originale
francese del 1742 e che aveva tradotta in Italiano e pubblicata nel 1752.
Esponente di primo piano della nobiltà del Regno,fu tuttavia aperto alla
borghesia del tempo,considerando nobili “coloro che mostrano ingegno virtù ed
onestà”,
Gran Maestro della Massoneria napoletana dalla personalità anticonformista
e poliedrica, dopo aver suscitato l’ammirazione e la curiosità dei
contemporanei, ma anche forti ed irriducibili opposizioni, ha continuato ad
esercitare, nel corso dei secoli, un fascino del tutto particolare, assumendo
talvolta gli inquietanti tratti di uno stregone,dell’iniziato e
dell’alchimista,dell’inventore,sempre,tuttavia,quelli di un personaggio quanto
mai enigmatico.
Sarà per tutte queste caratteristiche, per l’enfasi un po’ guascona con cui
presentava se stesso e ogni sua creazione, che tra gli animi più avveduti
un’aura di maldicenza ne accompagna la memoria.
“O principe è ‘nu riavulo”, ripete ancora e sempre la voce del vicolo;con
sufficienza e una punta di fastidio, la casta dei sapienti precisa: “il principe è
solo un ciarlatano , credulo nelle antiche fandonie sulla magia alchimistica”. E
lui rivendicava la magia quale scienza di ciò che è ancora ignoto in grembo alla
Natura. Magia pervasa dal soffio del divino. In questo senso si voleva Mago.Ma
la vita del Principe de Sangro è un insieme di simbologie
alchemiche,magiche,massoniche ed ermetiche,in accordo con l’originaria
dottrina egizia,secondo la quale, per ottenere l’illuminazione bisogna operare
un cammino che prevede di tagliare simbolicamente a pezzi il proprio corpo ed
aspettare che esso attraversi la sua fase di putrefazione affinché risorga a
nuova vita, una vita dominata dallo spirito.
E’ la trasposizione del mito della morte e resurrezione di Osiride che, posto
all’interno di un sarcofago delle sue dimensioni e fatto a pezzi dal fratello Seth,
verrà ricomposto da Iside per dare alla luce il figlio Horus, lo spirito splendente
d’oro.
E’ ormai noto che la società dei Liberi Muratori in Europa ebbe il suo primo
embrione in Calabria con la scuola Pitagorica, denominata per antonomasia
Scuola-Italica,ed i misteri di Iside ed Osiride, coi rispettivi rituali delle iniziazioni
arcane e misteriose. Dato che si vuole che lo stesso Numa Pompilio sia stato
iniziato a questa Scuola misterica,. possiamo dire che Scuola Pitagorica,Scuola
Italica e Massoneria Italiana sono da sempre legate da un unico filo che parte
dall’Egitto,ed in ossequio alle loro origini, i liberi muratori del Grande Oriente di
Napoli si mostrarono sempre gelosi nel custodire le dottrine dell’Ordine ed,a
fronte di qualunque ostacolo,ne propagandarono i principi che sono pervenuti
sino a noi attraverso molti secoli,
I Figli del Sebeto mostrarono sempre coraggio e virtù nell’affrontare
arditamente i patiboli e col “non far di berretto o inchinarsi giammai
all’odiatissimo dispotismo”.
Fu per effetto di questi principi che si proclamò in Napoli il Regime
Repubblicano e la Repubblica Partenopea, che costava al popolo tanti sacrifici,
non così facilmente si sarebbe spenta se non fosse stata stroncata dal
fanatismo religioso appoggiato il dispotismo.
Nel napoletano il secolo dei lumi si caratterizza come un momento di fervente
attività in ogni campo. E’ un periodo storico, che lascia una traccia profonda
nella storia del Mezzogiorno d’Italia, sia sotto l’aspetto culturale che per gli
avvenimenti di carattere socio-economico che ebbero a verificarsi. Può ben
dirsi, per le iniziative di varia natura che vi si presero, che questo secolo
contribuì notevolmente a creare una Napoli proiettata nel futuro.
Come non riconoscere i grandi meriti di Carlo di Borbone,nel rinnovamento
napoletano dell’epoca?
Fu infatti grazie alla sua azione di governo che:
-Si costituì il collegio “Nautico”, per la formazione di ufficiali della marina
mercantile;
-Venne fondato il Corpo dei Piloti di porto;
-Furono incrementati gli scambi commerciali fra il Regno di Napoli ed i paesi
dell’area mediterranea
-Fu introdotto nel Regno il “gioco del lotto”,
-Il 2 luglio 1738, nacque l’Ordine Cavalleresco di San Gennaro,che sostituì
quello di San Carlo
– nel marzo del 1737 ebbe inizio la costruzione del Teatro San Carlo, affidata
all’architetto Angelo Carotale,
-Su disegno dell’architetto cav. Fuga, fu costruito l’Albergo dei Poveri, aperto
ai diseredati di tutto il Regno.
-Ed ancora l’opera di ammodernamento della capitale, il miglioramento
dell’edificio dei Regi Studi,la costruzione della Reggia di Caserta, su progetto
dell’architetto Vanvitelli
Anche sul piano culturale, si ebbe un’imponente ripresa di ogni attività
esaltante il pensiero umano,infatti si diede in questo periodo, grande impulso
agli scavi di Ercolano e di Pompei, istituendo una scuola per la decifrazione dei
Papiri Ercolanensi, .
L’Università degli Studi di Napoli, fondata da Federico II°, venne
ravvivata da Carlo che vi raccolse i migliori intelletti del secolo, facendone il
centro motore del movimento illuministico del Settecento napoletano.
Anche l’Accademia di Lettere e Scienze mutò sistema di lavoro,
abbandonando ogni pompa del passato, prendendo di mira l’utilità della
collettività nazionale, richiedendo l’applicazione alle arti, alla medicina, alle
lettere, affinché venissero chiariti i punti basilari della storia patria, in modo da
contribuire al miglioramento dell’arte di governo dei popoli.
Notevole fu l’apporto che questo secolo ricevette dall’azione di uomini
illuminati quali: Raimondo di Sangro, Francesco Spirito Principe di Scalea,
Paolo Doria Principe d’Angri, Vincenzo Cuoco, Domenico Cirillo, Pietro
4
Colletta, il Tenucci, Gaetano Filangieri, il Marchese Vargas Macciucca,
Giuseppe Aurelio De Gennaro, Pasquale Cirillo, Biagio Troie, Mario Pagano,
mentre fra gli ecclesiastici ricordiamo il Genovesi, il Galliani, il Martini, Padre
Carconi e l’arcivescovo Rossi.
Non poteva mancare il contributo femminile a questo particolare momento
storico e notevole fu quello dato da donne come: Faustina Pignatelli, Eleonora
Pimentel Fonseca e tante altre ancora.
Fu appunto questa notevole ripresa culturale della Napoli settecentesca che,
assieme all’incrementato scambio con altri paesi, dette quello che poi venne
definito: «l’Illuminismo napoletano» che anche sul piano socio-politico, doveva
porre i presupposti per quella grande pagina di storia che fu la Rivolta e la
gloriosa Repubblica Partenopea.
Grande posizione assume in questo quadro, appena accennato,il fenomeno
Massonico, per gli uomini che ne furono i propulsori ma anche per la tenace
azione da essa assolta nella storia di questo secolo.
Fu infatti dalla Massoneria Napoletana che si manifestarono importanti
componenti ideali che troveranno poi la loro identificazione più evidente, nei
paesi più liberali.
Vediamo infatti la giovane Massoneria Napoletana di questo secolo muoversi
con la spontaneità propria dei modelli nuovi,allo scopo di dare il suo storico
contributo alla società nella quale si trova ad operare,spesso subendo
persecuzioni e censure per affermare,primo tra tutti il diritto di associazione
È infatti molto indicativo in proposito, leggere l’inizio del “De Collegiis et
Corporibus” ove è detto: «In qualunque ben regolato governo non vi è male,
che più contraddica e distrugga i principi dell’intrinseca sua costituzione, quanto
la perniciosa libertà, che si arrogassero i cittadini di portare a loro capriccio di
formare unioni, e stringersi in società».
Un sicuro insediamento della massoneria a Napoli, a parte un precedente del
1728 (relativo ad una loggia denominata Perfetta Unione di cui tratteremo poi),
può esser fatto risalire al 1745, allorquando un commerciante francese Louis
Larnage fondò una nuova Loggia che divenne “giusta” nel 1749, quando vi
vennero iniziati cinque ufficiali borbonici e successivamente altri dieci fratelli tra
cui Francesco Zelaja ed il sacerdote Filippo Nazani Paltoni1
.
Secondo quanto scrive Francovich, la Loggia svolgeva i lavori nel rispetto
dei Rituali inglesi con i tre gradi della M. Azzurra (apprendista, compagno e
maestro)
Nell’anno 1750 venne eletto Maestro Venerabile lo Zelaja, il quale desideroso
di rilanciare l’Ordine Massonico, avvertiva la necessità di immettere nella
Famiglia uomini di alto lignaggio che avessero potuto offrire all’Ordine
protezione e facilitarne l’azione di proselitismo come Gennaro
Carafa,Domenico Venier,il principe di Calvarusso.In questo periodo vengono
inseriti ad opera del R+C Charles Radcliff altri gradi detti Superiori o Scozzesi
Nel contempo la Loggia si trasferisce al Palazzo del Marchese Rimise. In
questa nuova sede vennero ricevuti diversi ufficiali e nobili di alto rango, fra i
quali Gennaro Carafa Principe della Roccella.
Nel luglio del 1750 viene iniziato Libero Muratore Raimondo di Sangro
Principe di Sansevero, il quale l’anno successivo assume il titolo di gran
maestro.
E. Palermo,Ms nella biblioteca del Principe di Belmonte.In G.Giarrizzo,I Liberi muratori di Napoli nel sec
XVIII Napoli 1988 p. 45.
5
In questo periodo v’erano due distinte correnti massoniche nel regno di
Napoli: una formata dai ranghi più elevati della gerarchia militare insieme ai
nobili legati alla corte, e che operava con gli alti Gradi,ed una seconda che
accoglieva gran parte dei commercianti,inglesi e francesi, ed anche ufficiali di
basso rango. La maggioranza di coloro che componevano questa seconda
«ala» borghese delle logge partenopee era di religione calvinista, ed era questa
ala che era guidata dallo Zelaja.
A partire dal momento del riconoscimento di Raimondo come Gran
Maestro di tutte le logge napoletane, il Principe si tuffa nella politica del regno,
avvicinandosi al Re di cui gode la stima e collaborando alla ristrutturazione
dell’esercito, anche attraverso l’invenzione di macchine da guerra, del tutto
nuove per l’epoca.
Convinto seguace di Bayle, Shaftesbury, Collins e Toland, da cui aveva
mutuato i principi di tolleranza religiosa e di libertà di pensiero, il Principe non
può fare a meno di coinvolgere nel proprio progetto i magistrati con i quali i
nobili rivaleggiavano «negli affari del Regno» procurando grave disagio alla
corona, al regno intero, ed offrendo all’estero motivo di discredito per il Regno
di Napoli.
Questo aprirsi di Raimondo alla borghesia, questo considerare «nobili»
coloro i quali mostrano ingegno, virtù, ed onestà, e’ di certo dovuto all’evolversi
del suo pensiero massonico.
Tale attività la mantenne fino al 1751 anno in cui,Carlo III di Borbone dovette
con un editto cancellare le logge napoletane e bandire la massoneria dal regno.
Comunque la Napoli di quegli anni è da considerarsi un vero crogiuolo di
attività esoteriche, di sodalizi iniziatici di diversa matrice,che, amalgamatisi
gradatamente fra loro, originarono un complesso regime esoterico di natura
sincretica, dalla prevalente e spiccata matrice italico-egizia-caldaica.
E’ proprio a Napoli che naque e prosperò quel centro tradizionale che,
secondo Brunelli, “di volta in volta diede manifestazioni di sé attraverso
l’ispirazione di fratellanze esoteriche di particolare importanza”
2
a noi noti come
“Rito di Misraim, Alta Massoneria, Ordine della Stella Fiammeggiante”;
strutture iniziatiche che, come osserva il Kremmerz3
, “originatesi dalle scuole
magiche osiridee, propriamente di origini italiche, e passate insospettate fino
alla seconda metà del secolo XVIII, (sono) ritornate poi nell’ombra della storia,
tanto che ora non si sa dove stiano e se ancora esistano”.
Ad ogni modo, ancora oscuri e scarsamente documentati appaiono i primi
indizi dell’ermetismo di ispirazione egizia nel pensiero del secolo dei “lumi” che,
nella Massoneria, troveranno i “segni” più incisivi della loro riscoperta. La
fondazione di una loggia con connotazioni egizie, anche se non sicuramente
documentata sembra risalire al tempo del viceregno austriaco in Napoli4
, ma
dati più certi si hanno per la metà del XVIII secolo.La notizia è in buona parte
confermata da un ms. compilato appena dopo il 1750 da un anonimo Curioso
dilettante di novità5
.
La particolarità dell’officina napoletana della Perfetta Unione che, come
vedremo, assumerà la denominazione di “Primaria Loggia”,era quella di far uso
di un sigillo caratterizzata da una piramide sormontata dal sole raggiante,
davanti alla quale vi era la sfinge, e la rappresentazione della luna crescente
2
F: Brunelli, Il Martinismo e l‘ordine Martinista Perugia 1980 pp 111 3
G.Kremmerz,La scienza dei Magi Ed Mediterranee.
4
R. Di Castiglione, Alle sorgenti della Massoneria 1988 Roma pp 65 5
G. De Blasiis (a cura di ) Archivio storico per le Province Napoletane 1905 pp 240.
6
sul dorso. Le zampe anteriori poggiano su un ramo di acacia e su di una pietra
cubica grezza. Il sigillo in argento, avorio. ed oro reca le seguenti leggende:
SIG: NEAPOLIT: LATOMOR: FRATERN: PERFETTA-UNIONE…ed
all’interno, nel campo superiore la frase :QUI QUASI CURSORES VITAE
LAMPADA TRADUNT A.L.1728 che si traduce in SIGILLO DELLA
FRATELLANZA DEI MURATORI NAPOLETANI DELLA PERFETTA
UNIONE;COLORO CHE COME CORRIDORI TRASMETTONO LA LAMPADA
DELLA VITA. ANNO DELLA LUCE 1728.
Il sigillo,che quindi sposterebbe al 1728 l’anno di fondazione della Perfetta
Unione,presenta notevoli analogie con una medaglia commemorativa realizzata
dai massoni romani nel 1742 durante la permanenza del celebre massone
inglese Martin Folkes nella capitale6
.
Infatti, praticamente simili sono i motivi della piramide (per alcuni sarebbe
quella romana di Caio Cestio), del sole radiante, della sfinge della luna,del
ramo di acacia, della pietra cubica.
Tale medaglia era stata realizzata ispirandosi al sigillo della Perfetta Unione
napoletana?
Oltre ai riferimenti del Francovich7
, un’altra fonte confermerebbe l’esistenza di
una loggia operativa detta della Perfetta Unione in Napoli nel 1728. La notizia è
tratta dalle Tavole Barbaia, documento che, nel 1885, attestava la
ricostruzione della Perfetta Unione all’Obbedienza del Supremo Consiglio del
33° Grado per la Giurisdizione Italiana sedente a Torino.
Nella breve cronistoria che contiene, la Tavola rimanda al 1728 l’origine della
Perfetta Unione napoletana8
.
Per concludere i riferimenti alle origini dell’officina partenopea, bisogna far
menzione di una patente di legalità che, nel maggio 1728,veniva concessa
dalla Loggia Madre di Londra a firma di Lord H.H. Coleraine per una non
meglio specificata loggia napoletana9
. In ogni caso la simbologia del sigillo della
Perfetta Unione non pone dubbi sul tipo di “tegolatura” usata nella più antica
delle officine partenopee, poi diventata verosimilmente “Primaria Loggia” all’
epoca del mandato di Raimondo di Sangro.
Non conosciamo da documenti l’impronta data dal principe alla sua loggia
che, in breve, per il rilevante numero dei muratori dette origine a gemmazione
di altre officine. Nonostante l’esiguità del tempo di venerabile in carica,il
Sansevero si adoperò per lo più ad organizzare una struttura di più ampio
respiro rispetto al passato, e ad appianare i dissensi interni tra gli orientamenti
conservatori di Larnage ed innovatori dello Zelaja.Il Sansevero divise i massoni
napoletani in tre Logge: la Di Sangro,la Carafa e la Moncada (dai nomi dei
rispettivi venerabili).
La Di Sangro,forte di trecento fratelli aveva nel suo interno un nucleo di
ispirazione Hiramitica,Rosicruciano,alchimistico e templare,come si evidenzia
da alcuni documenti scritti dallo stesso Di Sangro al baroneTschudy10.
Interessante notare che questa “superloggia” operava col titolo di Rosa
d’ordine Magno11, forse con rituali egizi o ebraico-egizi.
Dalla “Lettera Apologetica” si rileva la profonda erudizione del di Sangro
relativamente agli Egizi e alle loro conoscenze delle costellazioni, del
ritrovamento del Corpus di conoscenze metafisiche di Adamo e delle opere di
Ermete Trismegisto.
Inoltre,da profondo conoscitore della lingua ebraica,il Sansevero era in
grado di consultare gli antichi testi cabalistici nella loro stesura originale,anche
se per evitare gli strali della censura ecclesiastica,fu costretto ad attribuire
l’origine del geroglifico, e quindi la nascita dell’intelligenza dell’umanità, ad
Adamo e alla “ebraica nazione”. In questo modo,usando un linguaggio ironico,
sembrava accettare la generale impostazione della chiesa che la conoscenza
divina passi dalla sapienza ebraica a quella dell’Egitto e che questa sia stata
trasmessa da Misraim, nipote di Cham.
Questa affermazione apparentemente non eretica viene ribadita dal termine
Memphis-Misraim con il quale più che far precedere una tradizione all’altra si
tende a far comprendere che esse si trovano entrambe ad oriente del nostro
mondo.
La pubblicazione, avvenuta il 28 maggio 1751,della Bolla Providas
Romanorum Pontificum emanata da Papa Benedetto XIV,al secolo Prospero
Lambertini, bolognese(egli stesso massone,cavaliere kadosh),per ribadire la
condanna pontificia del 1738 di Papa Clemente XII,del 28 aprile 1738 In
Eminenti Apostolatus Specula, indusse Carlo VII di Borbone (poi Carlo III,
come re di Spagna) alla promulgazione di un editto (10 luglio1751) che proibiva
la Libera Muratoria nel regno di Napoli13.
Avendo avuto sentore della tempesta che stava per abbattersi sulla
massoneria napoletana, fin dal 26 dicembre 1750 il principe di San Severo
aveva informato il re sulla esatta realtà dell’organizzazione da lui presieduta e,
con altrettanta tempestività, il 1° agosto 1751 inviò al Papa un’abilissima lettera
di ritrattazione.
Le proteste di lealismo politico-religioso del San Severo valsero a limitare le
sanzioni contro i liberi muratori napoletani, che si ridussero per la stragrande
maggioranza di essi a una solenne ammonizione giudiziaria grazie anche alla
commissione inquirente nominata da re Carlo, composta dal Duca di Mirando,il
duca di Castropignano,dal Principe di Centola,e da padre Benedetto Latilla.
Unici condannati,il Larnage,il frate francescano Bonaventura di Bisognano ed
il barone Tschudy.
Dopo il “tradimento” del principe e la fuga del barone Tschudy, la Primaria
Loggia o della Perfetta Unione,presumibilmente, venne”assonnata”.
Tale gesto da alcuni fu interpretato come atto di vigliaccheria, da altri come
unico atto possibile per salvare i fratelli, disciogliendo l’ordine. Il progetto del di
Sangro era di far risorgere la nobiltà napoletana, spesso accusata di essere
dedita solo alla vita di corte, alla caccia, e di essere legata solo ai propri
privilegi feudali. Riscattarla quindi dal letargo per aprirla ai fermenti innovatori
che in Europa si facevano sentire.
Dopo i fatti del 1751,la repressione,la scomunica ed il tentativo a vuoto
dell’Inquisizione di tradurlo a Castel Sant’Angelo, Raimondo si vede costretto a
chiudere la tipografia in cui stampava i manoscritti da lui stesso tradotti, a volte
sotto pseudonimo. Due gesuiti, in particolare, tallonavano da presso il
12 R. di Sangro Lettera Apologetica Napoli 1984.
13 L. Giustiniani. Nuova Raccolta delle prammatiche del Regno di Napoli 1804.
14 Origlia Dello Studio di Napoli 1754 p357.
8
Principe: Innocenzo Molinari e Francesco Pepe che riferivano ai responsabili
superiori dei «servizi» vaticani circa le opere e le iniziative del Principe.
Soprattutto si scagliavano, nei loro rapporti, contro le opere «pericolosamente
scientifiche» che Raimondo stampava e divulgava.
Costretto al silenzio, Raimondo di Sangro non trovò altra maniera di
dialogare con il mondo intelligente che quello di scrivere il proprio testamento
spirituale nella Cappella, da lasciare a quella parte di mondo che, animata dalla
sete della conoscenza, avrebbe profuso sforzi ed energia per interpretarlo.
Mancano notizie certe fino al 1768, data di una petizione da parte di Jean
Rodolphe Passavant alla Grand Lodge of England per essere autorizzato a
ricostituire in Napoli la loggia regolare La Perfetta Unione, portandola,
successivamente, alla dignità di Gran Loggia Provinciale15.
Nel 1763, divenuto re di Spagna dal 1759 Carlo VII, e regnante sotto la tutela
del toscano ministro Bernardo Tanucci l’ancora minore suo figliolo Ferdinando
IV, il gran maestro aggiunto della G.L.Nazionale d’Olanda, Franc Van der
Goes, concesse una patente provvisoria di fondazione per una loggia sotto la
denominazione di Les Zelés. La patente definitiva venne rilasciata il 10 agosto
1763 e ad essa il 10 marzo 1764 fece seguito un’altra patente, che
promuoveva la loggia Les Zelés al rango di Gran Loggia Provinciale per il
regno di Napoli.
In questo momento, nella massoneria napoletana operano personaggi
importanti come Luigi D’Aquino (1739-1783), fratello del principe Francesco,
legato al noto Giuseppe Balsamo.
Benché occultata, la Napoli massonica era rappresentata da piccoli gruppi
tenuti uniti dal fratello Francesco, per lo più interessati a vendicarsi delle
delazioni e tradimenti subiti con la famosa “sorpresa di Capodimonte” del capo
della polizia, Pallante per ordine del ministro Tanucci.
Nel 1767 viene denunciato a corte da un massone “pentito” e da un prete, il
duca di Torremaggiore, Vincenzo Di Sangro (1743-1790), figlio di don
Raimondo e futuro principe che alla morte del padre erediterà il titolo
principesco, il palazzo e le proprietà e, soprattutto, i numerosi debiti che un
matrimonio di interesse riuscì appena ad arginare. Comunque
Vincenzo,subito dopo la morte del padre, ricostituì la Perfetta Unione che. non
essendo riconosciuta dalla Gran Loggia d’Inghilterra, fu considerata
irregolare,ma,fu quasi certamente il cavalier D’Aquino, cugino del Di Sangro, ad
introdurre nel Corpus dottrinario della loggia un’operatività segreta a cui lo
stesso era stato iniziato a Malta e che si riteneva fosse derivata dall’antica
sapienza sacerdotale egizia e caldea.
Oltre al Balsamo-Cagliostro (1743-1795) che grazie all’amicizia del
D’Aquino, ebbe contatti con la loggia, impossessandosi, forse, della liturgia di
un rito che gli fu utile per il suo rituale egizio, vanno ricordati, in quanto
appartenenti alla Perfetta Unione, Nicola Palomba sacerdote di Avigliano
(1746-1799), Carlo Castone Della Torre Di Rezzonico, Francesco Caracciolo
(1752-1799).
Non si possono del resto ignorare massoni intellettuali e patrioti come
Gaetano Filangieri principe diArianello (1752-1788), Mario Pagano, Domenico
Cirillo e tanti altri.
Ma,ritorniamo al Sansevero .
15 E. Stolper la massoneria settecentesca nel regno di Napoli in Rivista massonica 1974.
9
Nel 1744, dopo essersi distinto nella battaglia di Velletri, è ricevuto dal
Pontefice Benedetto XIV ottenendo la “licenza di poter leggere ogni genere di
libri proibiti”, ed inizia un periodo di intensa attività intellettuale “con occuparsi
nel giorno del continuo a studj meccanici, e nella notte, ove si gode una
maggior quiete, e sono più lontani i rumori, alle scienze16, ed arriviamo al
periodo cruciale della vita di Raimondo di Sangro, che in pochi anni viene
iniziato nella Libera Muratoria (se dobbiamo ritenere rispondente a verità la sua
dichiarazione di essere stato iniziato il 22 Luglio 1750) e poco dopo ne diventa
il Gran Maestro, elabora con il Corradini, anch’egli Libero Muratore, il
programma iconografico della Cappella e dà inizio alla sua decorazione.
Abbiamo visto che la prima Loggia Massonica costituita dal Larnage, subì
una scissione ad opera degli aristocratici i quali si riunivano in Palazzo Alvise e
riconobbero quale loro Maestro Venerabile il Di Sangro, mentre il Larnage
costituì una nuova Loggia alla quale dettero la loro adesione quei fratelli rimasti
fedeli alla Ritualità inglese.
Prima fatica del Maestro Venerabile Di Sangro fu quindi quella di avere
intensi contatti con il Larnage ed i suoi seguaci, allo scopo di eliminare ogni
malinteso fra le due Logge e far rientrare la scissione, e la sua tenace azione
ebbe positivi risultati.
Infatti il 24 ottobre 1750, a Posillipo, nella villa del Principe Gennaro Carafa, si
pervenne all’agognata unificazione dei due rami della Massoneria Napoletana,
tanto che,nella predetta riunione il Larnage riconobbe il Principe Raimondo di
Sangro, nella dignità di Gran Maestro della Massoneria Napoletana.
Il Sansevero, vinte scissioni e malintesi, si dedicò con impegno alla
riorganizzazione della Massoneria Napoletana, determinando una sua notevole
crescita numerica e dividendo quindi i fratelli napoletani in tre Logge: la “Di
Sangro” con un piedilista di oltre 280 fratelli, la “Moncada” e la “Carafa”.
Superata la fase di unificazione e riorganizzazione, il Sansevero si dedicò
all’approfondimento dottrinario e ritualistico, sostenendo che il cammino
iniziatico, iniziato nei primi tre gradi dell’Ordine, dovesse trovare il suo
perfezionamento nei gradi “scozzesi”, o Alti Gradi, nei quali si trattava della
leggenda di Hiram e del Tempio, di Salomone
Fu merito quindi del Principe di Sansevero, la costituzione nella Massoneria
napoletana della prima Loggia Scozzese, presso la “Di Sangro”, che
maggiormente si prestava alle esigenze rituali dello Scozzesismo, sia per il più
alto numero di componenti che per la loro formazione esoterica. La loggia del di
Sangro,usava certamente una tegolatura ebraica-egizia,ed un rituale
segreto,dedicato ad una selezionata cerchia di appartenenti che verrà in futuro
codificata negli ultimi gradi del Rito di Misraim,noti come la Scala di Napoli o
Arcana Arcanorum,cui corrisponde la conoscenza di una pratica utile a
conseguire il magistero alchemico-trasmutativo.Questo livello conduceva
attraverso i misteri di Iside ed Osiride alla realizzazione di un “Corpo di
Gloria”,ovvero al raggiungimento della immortalità,che fu sempre l’idea
dominante di tutta l’opera del Di Sangro.
Più in generale,la “Perfetta Unione” recuperò e custodì un corpus dottrinario
tradizionale di ispirazione ebraico-egizio con forti influenze caldee e
pitagoriche, perfettamente in linea con quella tradizione Italica,che nel
Meridione d’Italia ebbe la sua maggior diffusione.
16 Origlia, Dello Studio di Napoli, vol II, Napoli 1754. p.343-44
10
Ma l’azione riformatrice del Principe di Sansevero, non poteva fermarsi a
questi obiettivi.
Infatti,venne diffuso nel Napoletano, fra l’altro, la traduzione del “Conte di
Gabalis” del Montfaucon de Villars, contenente nozioni cabalistiche e della
concezione Rosacrociana, in quell’epoca molto diffusa in Germania, nonché del
“Riccio Rapito”, poema esoterico di Alessandro Pope in cui si fa riferimento a
Paracelso ed agli spiriti elementari dell’Adeisidaemon del Toland. Ma il rapido
diffondersi della Massoneria nel Regno di Napoli, creò notevole allarme negli
ambienti ecclesiastici, tanto che già nell’autunno del 1750, iniziò con violenza
una feroce campagna antimassonica a Napoli, con le prediche nelle chiese e
piazze del gesuita Padre Pepe e del popolare “Padre Rocco” del quale si
occupa Benedetto Croce nella sua “Vita religiosa a Napoli del settecento”.
Questa situazione destò i primi allarmi anche nella Curia romana che
intervenne presso il Re Carlo V°, invitandolo ad intervenire.
Questo stato di allarmismo, indusse nei primi mesi del 1751 il di Sangro ad
avere un colloquio con Carlo V° per rassicurarlo che nel corso del lavori
Massonici “non si trama né contro la monarchia, né contro la religione.”
Intanto, in conseguenza delle pressioni del clero napoletano, la situazione
precipitava con la emanazione da parte del Pontefice Benedetto XII°, il 28
maggio 1751, della Bolla «Provvidae Romanorum Pontificum», con la quale
confermava la scomunica emanata tredici anni prima dal suo predecessore,
colpendo in maniera particolare “il segreto massonico” ed il suggello che esso
riceve, sotto il vincolo del giuramento.
Conseguentemente alla presa di posizione del Pontefice, il clero locale
accentuò le sue pressioni su Re Carlo, perché si decidesse a deliberare misure
restrittive nei confronti della Massoneria.
Messo alle strette, il sovrano napoletano, il 10 luglio 1751, per la prima volta
nella storia del suo Regno, emanò un editto che condannava e proibiva la
Massoneria nel Regno.
Nel frattempo il Principe di Sansevero aveva pubblicato nella sua tipografia,
un opuscolo dal titolo «Lettera apologetica del Quipu», sotto lo pseudonimo di
Esercitato , nella quale, scrivendo di sé e delle sue invenzioni, consente al
lettore di farsi una ben precisa idea sui suoi orientamenti culturali e su diversi
aspetti della sua personalità.
In esso, mentre voleva colpire con la satira la società del suo tempo,
riprendeva di fatto le nozioni di scrittura – tecnico-mnemonica – predisposta
con fili di vari colori annodati in modo diverso dal “Quipu”.
Sostanzialmente però, la Lettera Apologetica, affronta temi cabalistici.
Questo lavoro del Principe, fu l’occasione perché gli ambienti clericali
napoletani potessero scagliare con maggiore veemenza, una nuova campagna
antimassonica, additandolo ai napoletani quale “rinnegatore della Sacra
Scrittura e del miracolo di San Gennaro”.
Colpito dai rinnovati attacchi, allo scopo di evitare all’Ordine massonico
conseguenze più gravi, il Gran Maestro si fece ricevere dal Sovrano napoletano
allo scopo di rinunciare pubblicamente alla dignità di Gran Maestro e chiedere
di essere ricevuto, attraverso il Nunzio Apostolico, dal Pontefice, per chiarire i
motivi della sua adesione alla Massoneria ed il vero significato della sua opera
sul “Quipu”.
Appare evidente che, con questo gesto, il Principe intendeva placare la
bufera che si era scatenata nell’opinione pubblica partenopea contro la
Massoneria,e d’altro canto, il chiarimento al Papa, non doveva essere
11
considerato la ritrattazione delle sue convinzioni esoteriche,ma una ben
congegnata mossa politica.
Nel frattempo furono messe in circolazione, nella città di Napoli, le prime
copie dell’opera “Il Conte di Gabalis” ,e purtroppo questa operazione aggravò
maggiormente la campagna antimassonica scatenata nel Regno di Carlo di
Borbone, annullando l’azione che il Principe di Sansevero, con la sua rinuncia
alla Gran Maestranza, aveva tentato di determinare.
Di fronte alla campagna antimassonica che si andava scatenando, Raimondo
di Sangro, il 3 agosto 1751, dopo essersi confessato presso il sacerdote G.B.
Alasia, inviò al Pontefice Benedetto XIV° una lettera con la quale, nel precisare
tempi e luoghi della sua Iniziazione Massonica, precisava nel contempo che le
Logge Massoniche non svolgevano alcuna azione eversiva contro la Chiesa e
contro l’ordine costituito17. “Compie in questo corrente mese di Luglio appunto
un anno, Santissimo Padre, da che un ragguardevolissimo Cavaliere della
Corte del mio Re Carlo Borbone18 (18 col quale avea gran dimestichezza,
secretamente parlandomi m’invitò ad entrare nel ruolo di coloro, che
volgarmente Liberi Muratori son detti”. Il Principe racconta quindi che, dopo
essere stato interrogato dal “Presidente o sia dal Maestro, siccome essi dicono,
dell’Ordine”, venne ammesso all’iniziazione: “e avendoci il Presidente e tutti gli
altri Confratelli acconsentito, son tra loro ricevuto a’ 22. di Luglio del prossimo
passato anno”, ovvero del 1750.
Il Principe riferisce di essersi trovato “in mezzo ad onestissima Gente” e che,
avendo partecipato a numerose riunioni, non si era imbattuto “in alcuna cosa
viziosa, se non in molte piuttosto ridicole ed insulse, cioè in certi enigmi, sotto i
quali ciascuna bagattella alla società appartenente si nasconde”: e continua
quindi affermando che per tale motivo si era piuttosto disgustato; tuttavia,
aveva deciso di “perseverarci per qualche tempo” soprattutto perchè gli
sembrava “laudabile” che uomini di diverso ceto. “posta da banda la nobiltà
della nascita e la gravità degl’impieghi, doveano fra loro familiarmente
conversare, e promettersi uno scambievole soccorso in caso di caderne in
bisogno” e pensando inoltre che “si potesse apportare un grandissimo
benefizio alla Patria coll’unire insieme gli animi de’più Potenti Cittadini e quelli
de’Giureconsulti”.”Trenta giorni appena dopo la mia ricezione – continua il
Principe – per comune consentimento di tutti fui eletto Presidente, o per meglio
dire Gran Maestro dell’Ordine nel Regno Napoletano”.
Per quanto riguarda la vicenda massonica del Principe, ritengo che essa si
sia svolta diversamente da quanto risulta dalle dichiarazioni che egli stesso fu
costretto a fare. Non è credibile che il Principe fu iniziato appena pochi mesi
prima di essere eletto Gran Maestro, ma che la sua appartenenza alla Libera
Muratoria debba risalire a circa un decennio prima. Secondo quanto afferma il
Curioso Dilettante19. La Massoneria fu introdotta nel Regno di Napoli nel 1731
dai militari austriaci, ma già nel 1728 la Gran Loggia d’Inghilterra aveva
17 vedi la corrispondenza del Nunzio Gualtieri col Cardinale Valenti, (Archivio Segreto Vaticano. Nunziatura
di Napoli, volI. 233-238), pubblicata da P. Sposato (Documenti vaticani per la storia della Massoneria nel
Regno di Napoli al tempo di Carlo III di Borbone, Tivoli 1959).
18 G. Moncada principe di Calvarusso oppure Gennaro Carafa della Roccella
19 Curioso Dilettante: Istituto o sia Ordine dei Liberi Muratori nel Regno di Napoli. in G. de Blasiis: Le prime
Loggie dei Liberi Muratori a Napoli,1905, Stolper : La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, in
“Rivista Massonica” n. 10, dicembre 1975 in C. Miccinelli: E Dio creò l’Uomo e la Massoneria, ed. ECIG,
1985, p.243-308.
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rilasciato un mandato per fondare una Loggia a Napoli20. Da un manoscritto
del 1804 redatto da Emanuele Palermo21. apprendiamo che dopo il 1734 la
Massoneria continuò ad essere presente a Napoli solo con Logge composte da
forestieri, finchè, intorno al 1745, un “Piemontese ed un Francese (il Larnage),
ambi di domicilio in Napoli, il primo di mestiere acquavitaro, e’l secondo
negoziante di drappi e seta” non “pensarono di erigere una Loggia separata e
farsene essi i Capi e Direttori, non tanto per aver l’onore di esserne chiamati i
Fondatori della Loggia di Napoli, ma quanto per averne il profitto”.
Va però detto che verso il 1740 circolava in città una traduzione manoscritta
del discorso del 21 marzo 1737 di Michel-André de Ramsay22, discorso che
viene considerato il punto di partenza per l’istituzione della Massoneria
Scozzese, e ci sono diverse ragioni per pensare che intorno al 1740 già
esistesse a Napoli una Loggia “aristocratica” orientata verso la filosofia degli
Alti Gradi. di cui avrebbero fatto parte diversi esponenti dell’aristocrazia, e,
forse, lo stesso Principe di Sansevero: a questa Loggia si sarebbe aggiunta,
dopo il 1745, la Loggia di ispirazione “inglese” e “borghese” del Lamage.
In questa fase della storia della Libera Muratoria napoletana, si inserisce la
vicenda del Principe di Sansevero, il quale fornisce la versione ufficiale sulla
sua esperienza massonica nella lettera scritta a Benedetto XIV e datata il I
agosto 1751, Il Principe di Sansevero. infatti, su proposta dallo Zelaja, venne
“di comune consenso acclamato e riconosciuto per Gran Maestro dell’Ordine”,
riconoscimento che gli fu confermato il 24 ottobre 1750 anche dalla Loggia del
Larnage: pertanto. sotto il Gran Maestrato del Principe di Sansevero, le Logge
napoletane andarono a costituire una Gran Loggia Nazionale23.
Sorge, a questo punto, una legittima perplessità: come è possibile che il
Principe di Sansevero, per quanto prestigiosa fosse la sua figura, potesse
essere eletto Gran Maestro dell’Ordine appena un mese dopo la sua ricezione?
Una così rapida carriera massonica appare molto improbabile24, mentre
sembra ben più verosimile l’ipotesi che il Principe di Sansevero fosse stato
iniziato già diverso tempo prima, e che nel 1750 abbia invece voluto imprimere
una svolta decisiva alla Massoneria napoletana, riorganizzando le Logge,
rafforzandola e rendendola autonoma con la costituzione della Gran Loggia
Nazionale.
L’idea che il Principe di Sansevero facesse parte della Libera Muratoria da
prima del 1750, è stata già avanzata da più parti, e secondo Gamberini il
Principe sarebbe stato iniziato nella Loggia del duca di Villeroy fra il 1736 e il
20 In rivista massonica “Luce e Concordia”,Napoli 1886 e P.Maruzzi: Sulla prima Loggia massonica in italia,
in “Rivista Massonica, voI. XLVIII, giugno 1918.
21 redatto nel 1804 “Colpo d’occhio su la condotta de’ Patrioti durante la repubblica Napoletana nell’anno
1799, e sopra quella di Ferdinando IV ..descritto da Emanuele Palermo da servire per intelligenza di coloro
che leggeranno la storia di quella rivoluzione” riportato da F. Bramato: Napoli massonica nel settecento
attraverso un manoscritto di Emanuele Palermo, in “Rivista Massonica” n.8, 1978, p.453-473.
22 R. di Castiglione (Alle sorgenti della Massoneria) identifica la traduzione del discorso di Ramsay con il
manoscritto dal titolo Le Obbligazioni d’un Franco Muratore, inviato da Carlo III al Papa il 10 agosto 1752;
cfr. I.Rinieri: Della rovina di una monarchia. Relazioni storiche fra Pio VI e la Corte di Napoli ‘Archivio
Vaticano.
23 Ed Stolper: La Massoneria settecentesca nel Regno di Napoli, in “Rivista Massonica” n. 10. 1975, p.594.
R. Soriga Le Società Segrete, Modena 1942.
24 Lo stesso Federico di Prussia, quando era Principe ereditario, fù inziato nella stessa notte, dal 14 al 15
agosto 1739, prima come Apprendista, poi come Compagno ed infine come Maestro, ma attese ben sei anni
prima di divenire Gran Maestro, dopo che la Loggia berlinese “Zu den drei Weltkugeln” era stata elevata a
Gran Loggia Madre ; R.di Castiglione, Alle sorgenti della Massoneria).
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173725. Henri Theodor Tschudy riporta il testo di un’Orazione che il Principe
avrebbe pronunciata nel 1745, in occasione dell’ingresso di alcuni Apprendisti
nella sua Loggia26. Il tono dell’orazione è tale che a tenerla non può essere
stato che il Maestro Venerabile,o l’oratore della Loggia: pertanto, il Principe di
Sansevero nel 1745 non solo sarebbe già stato inserito nell’Ordine, ma vi
avrebbe occupato un posto di primo piano. Inoltre, in un documento massonico
dell’epoca, un volumetto recante il titolo Le Costituzioni della Società dei Liberi
Muratori, viene riportata la “Canzonetta Recitata in Napoli nel dì 21. Gennaio
1750. assistendo il F.. Tolvach Inglese al travaglio della Loggia della
Concordia, una delle Logge del F.. Raimondo di Sangro, Principe di S.Severo,
Primo Gran Maestro in Italia”27: apprendiamo in tal modo il titolo distintivo di
una delle Logge del Principe di Sansevero, ma soprattutto troviamo la
conferma che il Principe era già a capo della Massoneria napoletana il 21
gennaio 1750, cioè sei mesi prima della data del 22 luglio 1750, in cui egli
stesso afferma di essere stato iniziato. In mancanza di documenti più precisi ed
attendibili, la vera data dell’iniziazione massonica del Principe di Sansevero
resta ancora avvolta nel mistero. Ritengo tuttavia che un’indicazione in merito
sia stata fornita, in forma velata, dallo stesso Principe nella Lettera Apologetica,
quando parla del suo Progetto d’una Multiplice Difesa Interna, affermando che
“questo ammirabile trattato è la cosa, che con più gelosa cura custodisce
l’Autore28: sembra infatti di poter scorgere, nella Molteplice Difesa Interna, non
solo un modello di fortificazione militare, ma anche un’allusione allo schema
della Triplice Cinta29 simbolo dell’insegnamento iniziatico coi suoi tre gradi visti
come barriere da superare per penetrare nel punto centrale, cuore del mistero
e fonte dell’insegnamento.
Non sembra eccessivamente azzardato ipotizzare che la data del 1741,
attribuita a tale Progetto30, possa essere la vera data dell’iniziazione massonica
del Principe, il che sembrerebbe trovare conferma in un altro passo che
precede il brano in questione, ed in cui il Principe cita un’altra sua opera sulla
“vera cagione produttrice della luce”
31. Vedere o ricevere la Luce è ciò che il
neofita chiede all’atto della sua iniziazione, e non possiamo non ricordare, in
proposito, la frase con cui lo stesso Principe aveva salutato alcuni Apprendisti
in occasione del loro ingresso nella sua Loggia: “è giusto, infine, che vi renda
partecipi della Luce che avete cercato con tanta cura.”
32
25 G.Gamberini: Mille volti di Massoni, ed Erasmo, Roma 1975, . R. di Castiglione, Alle sorgenti della
Massoneria.
26 H.T.Tschudy: L `Etoile Flamboyanze in R di Castiglione, Alle sorgenti della Massoneria
27 Le Costituzioni della Società de Liberi Muratori Poste in ordine nuovo Dal ex G..M..E..S..T.. D.. G..M.. Per
uso della Gran Loggia Nazionale e Logge di sua dipendenza..1750. in B. Clavel: Storia della Massoneria,
Napoli 1873 Diversi storici della Massoneria ritengono che il documento sia stato stampato in data
successiva (De Blasiis, ; Soriga, ; M P. Azzurri, E Stolper,
28 Lettera Apologetica, p.2l0.
29 R Guenon. Simboli della Scienza sacra, ed. Adelphi, Milano 1975, p 76 ss.
30 Origlia, Dello Studio di Napoli. 31 Lettera Apologetica, p.2O8
32 Vedi l’orazione del Principe di Sansevero riportata nell’opera di H.T. Tschudy
“Sono molto lusingato di potervi dare questo titolo, e di poter col tempo rivelarvi tutte le gloriose prorogative
che esso comporta. Accettati, per il vostro medesimo desiderio e per un suffragio che vi assicurano le vostre
qualità personali, nella nostra rispettabile società, dopo aver sfidato i pregiudizi del secolo, le opinioni del
profano, dopo aver superato con costanza precisa le prove differenti che vi hanno condotto nell’augusto
santuario della massoneria, è infine giusto che vi metta a parte della luce che avete cercato con tanta cura, e
non contento di aver colpito i vostri occhi con il vivo fulgore dei suoi raggi, che io vi riscaldi il cuore, lo animi,
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Dopo la sua rinuncia all’appartenenza all’Ordine Massonico,deluso ed
amareggiato,il Principe si concentra sui lavori della sua Cappella e sulle sue
amate ricerche: “abbandonando ogni altro intrapreso suo studio nello stesso
anno 1751, pensò di darsi del tuffo allo studio della Fisica sperimentale come la
più profittevole per l’umana società, con animo di tentar nuove sperienze, e
illustrar con nuove scoverte una si famosa, e necessaria Scienza”
33.
Intraprende quindi delle nuove sperienze fisiche e fa costruire in un
sotterraneo del suo palazzo una fornace, sul tipo di quelle adoperate dai vetrai
“ma di una particolare costruttura”, aggiungendovi diversi altri forni “a fuoco di
riverbero”; poi, in un altro locale, fece installare un “Laboratorio Chimico con
ogni sorta di fornelli, di Vasellami, o di ordigni per qualunque operazione”.
Realizza dei cristalli e delle pietre dure artificiali e riprende a fare degli
esperimenti,già precedentemente tentati, sulla rigenerazione della vita dei
granchi e sulla formazione del sangue dal cibo, facendo “altre belle scoperte…
alcune delle quali sembrano fuori dell’ordine della Natura”
34. Fra queste va
ricordato soprattutto il cosiddetto Lume Eterno, ampiamente descritto nelle
Lettere indirizzate al Cavaliere fiorentino Giovanni Giraldi ed all’Abate Nollet
dell’Accademia Reale delle Scienze di Parigi35. Il tema della Luce che si
sprigiona dai corpi viene ulteriormente trattato nella”Dissertazione sopra una
lucerna ritrovata ultimamente in Monaco”, e creduta una delle perpetue degli
antichi36.
Se questi comportamenti del Principe di Sansevero riuscirono a placare, sia
pure momentaneamente, la bufera che si era addensata sul suo capo e sulla
massoneria napoletana, da parte del clero, iniziava nel contempo quelli dei
Liberi Muratori, i quali videro nelle prese di posizione del loro ex Gran Maestro
un tradimento all’Ordine ed al Segreto Massonico.
Ritengo che, esaminando attentamente il comportamento del di Sangro alla
luce delle persecuzioni che in quel periodo si condussero contro la Massoneria,
non si può non apprezzare il suo saggio e prudente comportamento che evitò
illumini la vostra anima e il vostro spirito, svelandovi i misteri delle nostre logge, facendovi conoscere il vero
oggetto dei lavori, lo scopo vero della nostra associazione, le regole per la nostra condotta ed i principi della
nostra morale.
Tutto ciò che facciamo è relativo alla virtù, è il suo tempio che noi costruiamo, e i semplici e grossolani
strumenti di cui facciamo uso non sono che i simboli dell’architettura spirituale di cui ci occupiamo. Voi
vedrete, fratelli, avanzando nei gradi dell’Ordine, cosa che il vostro zelo meriterà senza dubbio, fino a che
punto l’allegoria ne sia sottilmente sostenuta: io posso, per adesso, rivelarvi solo quei segreti ai quali lo stato
di apprendista vi permette di essere iniziati: non traccerò la storia della nostra origine; consultate i libri santi,
voi la troverete all’epoca della sublime costruzione che consacrò con la saggezza del più grande dei re, un
magnifico monumento alla gloria e al culto dell’Eterno. …
Questa breve spiegazione, fratelli, dissipa il prestigio che vi ha potuto preoccupare prima di conoscervi… noi
non ci lasciamo ingannare né dai nostri principi, né dai nostri sentimenti: riuniti dallo stesso zelo noi siamo
fratelli e ne facciamo gloria… Opere simili di una stessa provvidenza, siamo tutti uguali, la nascita, i ranghi, la
fortuna non ci fanno uscire da questo giusto livello… Uomini semplici, modesti nei piaceri, essenziali nelle
amicizie, fermi negli impegni, puntuali nei doveri, sinceri nelle promesse.”
33 Origlia, Dello Studio di Napoli
34 Breve Nota, ed. cit. p.37; cfr Griglia, op cit p 379 ss.
35 Lettere del Signor D.Raimondo di Sangro, Principe dì Sansevero dì Napoli sopra alcune scoperte
chimiche indirizzate al Signor Cavaliere Giovanni Giraldi Fiorentino e riportate nelle Novelle Letterarie di
Firenze del MDCCLIII, Napoli a cura di A Crocco, Napoli 1969)
36 Dissertation sur une lampe antique trouvée è Munich en l’année 1753 ecrite par Mr. le Prince de St.
Sevère poter servir de Suite a la prèmière parde des ses lettres a Mr l’Abbé Nollet à Paris, sur une
découverte qu’il a faite dans la Chimie avee l’explication Phisique de ses circonstances.
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ai Massoni partenopei ( o perlomeno ad una ristretta cerchia di essi ),ulteriori
danni e fastidi.
Lo stesso comportamento di Re Carlo di Borbone fu prudente e non
certamente severo.
Peraltro, ripercorrendo gli eventi che si verificarono in così breve tempo,
contro l’Ordine Massonico ed il suo Gran Maestro, non può non riconoscersi
l’inevitabilità che il di Sangro, il quale si era trovato al centro della bufera,
lasciasse la carica di Gran Maestro.
Le dichiarazioni rese e le lettere inviate al Sovrano ed al Pontefice, non
furono certo una rinuncia alle idee che aveva fatte sue, con piena convinzione,
da uomo di cultura. Esse vennero rilasciate, per motivi contingenti, e
certamente non senza rammarico.
Raimondo di Sangro, in un momento particolare, della Massoneria e del
regno di Napoli, convinto di aver evitato il peggio ai Liberi Muratori napoletani,
con il suo comportamento, preferì ritirarsi silenziosamente, senza rinunciare
alle sue idee, per dedicarsi agli studi preferiti ed alle sue ricerche .
Ma dopo esserci soffermati ad esaminare il periodo storico nel quale visse ed
operò, quella che fu la sua azione quale Libero Muratore e Gran Maestro della
Massoneria napoletana, prima ancora di portare la nostra meditazione sulla
simbologia del Tempio che egli lasciò alla posterità, soffermiamoci sia pur
brevemente a considerare l’uomo e la sua azione scientifico-culturale sotto
l’aspetto esoterico, nonché dei particolari studi da lui condotti e degli Ordini
esoterici dei quali certamente fece parte.
Alla luce di questo particolare aspetto del Raimondo di Sangro “Iniziato”,
potremo di sicuro meglio comprendere i suoi comportamenti, la sua azione
scientifica e culturale e la simbologia che ci ha lasciato, quale ultimo
insegnamento, nel suo Tempio.
Raimondo di Sangro, fu uno spirito eletto, di quelli che appaiono
periodicamente, nella storia dell’umanità. Alla vita mondana, piena di piaceri e
dissolutezza che il suo rango e la sua situazione economica gli offrivano,
preferì la solitudine dello studio, della meditazione e della ricerca tuffandosi,
con amore immenso, al servizio dell’umanità, nel cuore infinito della Sapienza,
alla ricerca della Verità.
Trascorre le sue giornate assorto nello studio, preso dalla meditazione,
ricercando, sperimentando, fra storte e lambicchi. Fu particolarmente versato
nello studio della scienza in genere, della chimica e dell’alchimia. Fra le sue
tante scoperte, molte delle quali di particolare interesse esoterico, vi è la
«lampada perpetua» riportata in molte opere Rosacrociane, questa dopo
essere rimasta ininterrottamente accesa per un periodo di tre mesi, per un fatto
puramente accidentale, si spense ed il Di Sangro volle distruggerne ogni
traccia. Si salvarono solo le descrizioni che ne fece nelle lettere da lui scritte ad
alcuni membri dell’Accademia delle Scienze di Parigi.
Così come abbiamo prima ricordato, che Raimondo di Sangro fu il primo
a costituire nella Massoneria napoletana Logge di Rito Scozzese, non può
sottacersi che egli rinverdì il Rito di Misraim, riallacciandosi al centro occulto
legato all’Egitto che è sempre esistito nel napoletano.
Infatti, scrive Francesco Brunelli nella sua opera sul Rito di Memphis e
Misraim: «Secondo Usekaf a Napoli è esistita per secoli una catena iniziatica
risalente all’antico Egitto ed i gruppi esoterici che nell’andar del tempo si sono
succeduti all’Eggregoro superindividuale di una corporazione di Egizi esistente
a Napoli, sin dall’età imperiale e forse molto prima, nella zona attualmente
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denominata Via Nilo e Piazzetta Nilo. Essendosi gli Egizi assimilati nei secoli
agli altri napoletani, sarebbe rimasto l’eggregore del culto egizio, adattato a
Fratellanza Magico-Ermetica»37. È comunque evidente che le concezioni
esoteriche mediterranee, che ebbero a manifestarsi attraverso la linea
ermetico-egizia e quella pitagorico-cabalistica trovarono nei movimenti
Rosacrociani e Massonici napoletani le loro migliori manifestazioni ed il Di
Sangro secondo il Francovich “era probabilmente collegato con un gruppo di
Rosa+Croce che pur dovevano esistere in Napoli”
38. Non si può peraltro
ignorare che la tipografia del nostro Principe, secondo il Soriga39, pubblicò
alcuni opuscoli massonici, dei quali uno molto importante, in quanto riportava la
prima elaborazione del Rito di Misraim.
È proprio con il Principe di Sansevero che dobbiamo rilevare:
1° – il distaccarsi della Massoneria dall’Ortodossia Cattolica ed il suo aprirsi a
ricerche esoteriche;
2° – la costituzione, fra gli uomini che gravitavano intorno al Di Sangro, di un
nuovo Rito, identificato dal Soriga in quello di Misraim;
3° – l’azione educatrice evidenziatasi mediante la formazione di discepoli, fra
i quali il barone Tschudy, creatore della stella fiammeggiante e di un sistema
massonico impostato sullo studio dell’ermetismo e dell’alchimia, meglio noto,
come Ordine dei Filosofi Incogniti. Da quanto abbiamo fin qui ricordato
appare evidente, sia dalla sua azione che dagli scritti suoi o ritenuti suoi,
nonché dalle opere pubblicate dalla sua tipografia, la sua grande cultura
ermetico-cabalistica nonché la sua formazione Rosacrociana. Peraltro, anche
nella Cappella gentilizia della sua famiglia poi divenuta «Cappella di
Sansevero», esistono espliciti riferimenti cabalistici, nella disposizione delle
statue simboliche, nonché precisi riferimenti ai Rosa+Croce, in varie statue,
anche se con maggiore evidenza in quella della “Pudicizia” e nell’altare
maggiore della Cappella, attraverso le due teste, una maschile e l’altra
femminile, disposte al di sopra del bassorilievo della “Deposizione”.
È fuori di ogni dubbio che Raimondo di Sangro, da vero Rosa+Croce, con la
sua mente aperta ad ogni tipo di studio, cercò di leggere il Grande Libro della
Natura per comprenderne il profondo significato. Le sue scoperte scientifiche e
militari vollero essere un modo per avere il dominio dell’Universo.
Egli da perfetto adepto dell’Ordine dei Rosa+Croce, volle penetrare i livelli
profondi dell’esperienza religiosa, sollevando i sette veli del Sancta-Sanctorum
della Divina Sapienza, afferrandone il segreto significato.
E da quell’Iniziato che fu, seppe conservare il Segreto, pur riuscendo in
attuazione alla concezione Rosacrociana a trasformare questa sua presa di
coscienza della Verità, in servizio a favore dell’umanità, nell’immensa profonda
simbologia che lasciò ai posteri, nella sua Cappella. Raimondo di Sangro che
aveva cominciato il suo percorso iniziatico sollevando il velo nel misterioso Rito
egizio di Misraim, era un alchimista che attraverso lo studio della cabala e
dell’ermetismo, si era avvicinato all’Ordine Rosacrociano, divenendone un
adepto, come dimostrano i suoi studi, le sue scoperte, la stessa simbologia che
volle dare ai gruppi simbolici della Cappella di Sansevero.
Fu uno di quelle guide dell’umanità che solo periodicamente compaiono su
questa terra, per essere di esempio, con l’azione e con il servizio che
37 F.Brunelli: Rituali dei gradi simbolici della massoneria di Memphis e Misraim Bastogi pp 28/29.
38 C Francovich : Storia della Massoneria in Italia 1975 Firenze.
39 R. Soriga : Le società segrete Modena 1942.
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all’umanità stessa rendono. Raimondo di Sangro, che pur essendo vissuto
nell’Era dei Pesci, era nato sotto il segno astrologico dell’Acquario, seppe
essere, con l’azione di tutta la sua vita operosa, uno spirito puro proiettato
nell’Era Nuova, ad indicare ai suoi simili, come facendo fiorire la rosa sulla sua
Croce, dovrà essere l’Uomo dalla mente concreta dell’Era dell’Acquario. Il
Principe voleva a tutti i costi essere padrone di quella sottile linea di confine
che passa tra la vita e la morte,ossia la soluzione della immortalità terrena.
Si racconta, che uccise sette cardinali e che con le loro ossa realizzò
sette seggiole, ricoprendone il fondo con la loro pelle. Si narra che,quando
sentì avvicinarsi la morte, provvide ad organizzare la sua resurrezione.
L’ambizioso progetto era quello di creare un luogo magico,dove chi avesse la
conoscenza dell’Arte Regia (l’Alchimia) e delle regole della Massoneria,
avrebbe poi decifrato il messaggio nascosto dal Principe nelle sue opere. Un
messaggio tra il sacro e profano, tra mitologia e teologia, tra il naturale ed il
sovrannaturale, il tutto coronato dalla sua ossessione verso il simbolismo e
verso quella sapienza che deriva dagli antichi Egizi. Non più scrivendolo nei
libri ma criptandolo nelle opere raccolte nella sua,la cappella costruita su un
luogo dove anticamente vi era un tempio dedicato alla dea Iside. Un messaggio
non ancora svelato ma, come le sue opere, semplicemente “velato” da un
simbolismo allegorico. Quel “velo” sotto il quale s’intravede la vera realtà
dell’esistenza umana.
Solo l’occhio attento di colui che ha intrapreso il cammino dell’iniziato riuscirà
a carpirne il vero significato. Un significato che non ha più nulla di arcano se la
conoscenza ha donato le chiavi.
In tal modo si spiega anche l’uccisione dei sette cardinali e sette è il
numero dell’Illuminazione e corrisponde alle sette chiese dell’Apocalisse o ai
“Sette Saggi” dei libri della fondazione egizia, iscritti sulle pareti del tempio di
Horus a Edfu. Si tratta, della forza del serpente che si snoda lungo la colonna
vertebrale dell’uomo e che, attivando tutti i sette centri energetici, dona
illuminazione e vita eterna.
Un simbolismo che si ritrova nel caduceo del dio Mercurio, presente
all’interno della cappella nelle mani della statua della “Sincerità”.
Il simbolismo che impiegò il de Sangro, probabilmente volontariamente
“mitizzato” dai suoi “discepoli”, è riscontrabile proprio sull’altare della cappella,
dove è visibile un volto dorato di chiara ispirazione sindonica.
Gli alchimisti, eredi di una tradizione antica, consideravano la Sindone
quale”veste del corpo di gloria” del risorto, cioè il raggiungimento della Pietra
Filosofale. Questo spiega anche perché il Principe volle nella sua cappella la
statua di un Cristo “velato” dalla Sindone in quanto essa era simbolo di
quell’immortalità dalla quale era tanto ossessionato. Il principe se ne andava in
un giorno di primavera. Il 22 marzo 1771, Sessantun anni appena compiuti. Un
uomo relativamente ancora giovane. Che da tempo, però, avvertiva dolori,
soffriva.
Aspettava, da un giorno all’altro, che la sua compagna di sempre, la
morte, lo chiamasse a sé per l’ultima e definitiva volta, E serenamente era
spirato, in pace con se stesso e con la Chiesa come attesta l’atto di morte: “A’
22 Marzo 1771.L’eccellentissimo Signor don Raimondo de’ Sangro, marito della
eccellentissima signora donna Carlotta Caietani d’Aragona, Principe di
Sansevero, abitante nel proprio palazzo, ricevuti i Santissimi Sacramenti, morì
in Comunione di Santa Chiesa, a di detto, e fu seppellito nella propria Cappella
pubblica; era dell’età 62 anni circa” .
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Destino curioso. Morto lui, si perde ogni traccia delle sue mirabolanti
invenzioni. Ne resta una descrizione non sempre chiara, negli scritti di suo
pugno o da lui ispirati, nulla più. Volatili, pura intenzione, restano una serie di
opere spesso annunciate mai tradotte nero su bianco;
I funerali furono solenni, fastosi, come si addiceva a un
nobile del suo rango. Tra velluti, ori, argenti, la pompa, e anche questo era da
mettere in conto, prese il sopravvento sulla tristezza, che solo si poteva leggere
nei tratti tirati di Carlotta Gaetani e nello sguardo compunto di qualche amico.
La primavera aveva fatto il suo ingresso proprio il giorno precedente.
Le cronache raccontano che, quel 22 marzo, il sole splendeva alto sul golfo di
Napoli.
E.S. 2006
Note:
Bibliografia Essenziale:
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Bonvicini E.: Rosacroce.La storia di un pensiero, ed. Bastogi
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Francovich,C.. Storia della Massoneria Italiana, ed. La Nuova Italia
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Gervaso R.: Cagliostro, ed. Rizzoli
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Heindel M.: Il mondo magico dei Rosacroce, ed. F. Melita
Kremmerz, G: :La scienza dei Magi, ed Mediterranee
Kremmerz G.: Introduzione alla scienza ermetica, ed. Mediterranee
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Miccinelli C.: E Dio creò l’uomo e la massoneria, ed. Ecig
Mola AA ; Storia della massoneria, ed. Bompiani
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Sessa L. : Hiram e la leggenda di Hiram, ed. Bastogi
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Ventura G.: Templari e templarismo, ed. Atanor
Ventura G.. Cagliostro. Un uomo del suo tempo, ed. Atanor
Virio P.M.: La tradizione esoterica, ed. Bastogi
http://www.memphismisraim.it/StonaiuoloAGGIUST.pdf