Questa attività, però, sembra potersi definire sostanzialmente collaterale a quella primaria, posta in essere direttamente dagli Stati Uniti. E’ sulla base di precise direttive del National Security Council, infatti, che le strutture filoatlantiche si muovono sul fronte italiano. La campagna elettorale del ’48 viene impostata sulla scorta delle indicazioni di questo organismo (i cui documenti sono raccolti nel Foreign Relations of the United States), che a quaranta giorni dalle elezioni così si esprime per giustificare il proprio impegno in Italia: “La dimostrazione di una ferma opposizione degli Stati Uniti al comunismo e la garanzia di un effettivo sostegno degli Stati Uniti potrebbe incoraggiare gli elementi non comunisti in Italia a fare un ultimo vigoroso sforzo anche a rischio di una guerra civile, per prevenire il consolidarsi di un controllo comunista”. E proprio per scongiurare il pericolo adombrato, in un successivo punto si dispone di “fornire ai clandestini anticomunisti assistenza finanziaria e militare”.
Tutto ciò, sulla scorta del principio secondo cui il Pci non aveva legittimità alcuna a governare il paese, anche quando questo fosse accaduto per il tramite di una regolare vittoria elettorale. La direttiva NSC 1/3 dell’8 marzo 1948, da questo punto, di vista è illuminante, in quanto viene reso esplicito che gli “interessi degli Stati Uniti nell’area del Mediterraneo, relativi ai problemi di sicurezza, risultano seriamente minacciati dalla possibilità che il Fronte Popolare, dominato da comunisti, ottenga una partecipazione al Governo attraverso le elezioni nazionali […]”. E’ quindi necessario, secondo Washington, “nel caso in cui i comunisti italiani dovessero riuscire ad ottenere la guida del governo attraverso sistemi legali, […] prendere delle misure immediate, compreso ciascun tipo di misura coercitiva, per realizzare una mobilitazione limitata, […] fornire assistenza militare e finanziaria alla base anticomunista”.
E’ noto come le elezioni del 1948 videro trionfare la Democrazia Cristiana, ma il timore degli Usa doveva essere tale che lo scampato pericolo li indusse a rafforzare il sistema di “difesa” sperimentato in quella occasione. L’organizzazione “O”, da questo punto di vista, è la progenitrice di quella complessa struttura – non ancora del tutto disvelata – che va sotto il nome di Gladio (S/B). La “O” prende il nome, ereditandone uomini e organizzazione, dalla formazione partigiana Osoppo, sciolta nel giugno 1945, ma ricostituita sei mesi dopo, asseritamente per tutelare i confini a fronte di episodi di violenza alla frontiera con la Jugoslavia. Secondo la Relazione sull’organizzazione “O”, redatta dal V Comando militare territoriale – Ufficio monografie – (14 dicembre 1954) già due mesi dopo la struttura può contare su 2130 uomini e creare al suo interno un “servizio informazioni, con compiti informativi interni e d’oltre confine”. Ridenominata Volontari difesa Confini Italiani VIII, l’organizzazione viene incaricata dal Comando della divisione Mantova di “Preparare uno studio per l’impiego dei volontari nella protezione di opere, impianti e comunicazioni in caso di grave perturbazione dell’ordine pubblico”.
Così, quella che era una formazione partigiana – non inserita nel circuito delle formazioni comuniste – diventa in breve, prima una struttura di supporto dell’esercito per il controllo delle zone di confine, poi una vera e propria organizzazione clandestina “costituita da elementi sui quali si poteva fare sicuro affidamento”. L’affidamento, per paradossale che possa apparire, sembra però configurarsi come un espresso rifiuto della legittimità della Repubblica nata il 2 giugno 1946, tanto che il signor Amelio Cuzzi, pur essendosi rifiutato di prestare giuramento di fedeltà alla Repubblica, e per questo congedato dall’esercito, venne contattato dal colonnello Olivieri per far parte dell’organizzazione. E’ con queste persone che le componenti filoatlantiche delle Ff.Aa italiane – certo prevalenti sulle altre – prestano il loro contributo alla ricostruzione del paese dopo la rovina della guerra.
L’organizzazione, nel corso degli anni, assume connotati sempre più definiti in senso clandestino e occulto. Il 6 aprile del 1950, sulla base di direttive dello SME, il corpo V.D.C.I. VIII viene trasformato in una organizzazione militare segreta alla quale fu data la denominazione di “Organizzazione O”. Era costituita, a quella data, da 256 ufficiali, 496 sottufficiali, 5728 uomini di truppa, al comando del colonnello Luigi Olivieri. Alla fine del 1956, l’organizzazione viene poi trasformata nella “Stella Alpina” che sarà una delle (cinque) articolazioni di Gladio.
Lungi dall’essere una banale organizzazione di reduci o ex partigiani, la “O” rivestirà un ruolo fondamentale in questa strategia, com’è chiaramente dimostrato dalla sua dipendenza diretta dal Presidente del Consiglio, perlomeno nel periodo 1949-1950, ed avvalorato ulteriormente dall’interesse che gli Stati Uniti manifestano nel 1958 per un suo presunto (temuto) scioglimento.
A rassicurare il dominus penseranno i vertici dei nostri Servizi, con un appunto del 26 marzo 1958 dal titolo “Risposta ai quesiti del Servizio americano riguardanti il programma S/B”. E’ bene riportare l’intero passaggio della risposta, per valutarne poi la reale portata. Scrivono, dunque, i nostri Servizi:
“Il Servizio italiano ha sempre considerato che sarebbe stato un errore lasciare cadere nel nulla tali idealità e propositi [degli aderenti alla “O”] (che sarebbero altrimenti andati delusi e perduti) e, perciò, quando a fine 1956 lo stato maggiore dell’esercito disponeva lo scioglimento della “Osoppo”, il Servizio italiano prendeva a suo carico l’organizzazione e ne decideva la conservazione e la ricostituzione. Le nuove basi per la ricostituzione dell’organizzazione datano dal 1° ottobre 1957, quando esse venivano così precisate:
– denominazione: Stella Alpina
– compiti: in tempo di pace: controllo e neutralizzazione dell’attività slavo-comunista
– in caso di conflitto e o insurrezione interna: antiguerriglia e antisabotaggio […]”.
A tali compiti, l’organizzazione “O” si preparava forte di “32 mortai da 81, 23 mortai da 45, 204 mitragliatrici, 351 fucili mitragliatori, 820 moschetti automatici, 3.416 fucili, 371 fucili esteri”. E’ da notare, peraltro, che la disponibilità di quasi 400 fucili di provenienza straniera, poteva giustificarsi solo con la clandestinità che caratterizzava la struttura.
Parallelamente alla trasformazione della Osoppo, i vertici istituzionali del paese predispongono un piano/rete clandestino da attivare in caso di tentativi insurrezionali del Pci. E’ lo stesso Ministro dell’interno Scelba a rivelarlo in una intervista, dichiarando che “già nei primi mesi del 1948 era stata messa a punto una infrastruttura capace di far fronte a un tentativo insurrezionale comunista. L’intero paese era stato diviso in una serie di grosse circoscrizioni, ognuna delle quali comprendeva varie province, e alla loro testa era stato designato in maniera riservata […] una specie di prefetto regionale[…]. I superprefetti da me designati avrebbero assunto gli interi poteri dello Stato sapendo esattamente, in base ad un piano prestabilito, che cosa fare”.
Probabilmente in relazione con questo piano è la costituzione dell’Armata italiana della libertà (Ail) del luglio 1947, fondata dal colonnello Ettore Musco, già Capo di Stato maggiore alla data dell’armistizio, designato dagli alleati come capo dei Servizi italiani, e dal 1952 al vertice del Sifar. Secondo Faenza e Fini, in realtà il vero capo dell’Ail era il generale Sorice, ministro della guerra durante il governo Badoglio, ma è importante notare come il colonnello Musco sia anche il responsabile di quel “piano X”, di cui abbiamo detto più sopra, che rappresenta l’esordio dell’ingerenza “armata” degli USA in Italia. Secondo il reverendo Frank Gigliotti, massone statunitense e collaboratore dei servizi americani, proprio durante quel periodo “ci sono in Italia 50 generali che si stanno organizzando per un colpo di Stato. Sono tutti anticomunisti e sono pronti a tutto”. Non sembra, quindi, priva di fondamento l’ipotesi che almeno una parte dell’Armata italiana della libertà coincida, in realtà, con la struttura predisposta dal Viminale per sostituire i prefetti con uomini di sicura appartenenza atlantica.
Che il riferimento dell’Ail fossero i Servizi americani è peraltro dimostrato, inequivocabilmente, dal fatto che tre mesi dopo la sua costituzione, il colonnello Musco deposita presso l’ambasciata di Via Veneto l’elenco dello stato maggiore dell’organizzazione (in realtà, nei documenti americani il vertice dell’organizzazione viene denominato “Comitato Centrale”, ed è possibile ipotizzare che il riferimento fosse proprio alla più tipica delle articolazioni dei partiti comunisti). E’ questa una prassi – che si ripeterà quando verrà consegnato all’ambasciata statunitense un elenco degli appartenenti alla loggia P2 – che denota un indissolubile legame tra l’Ail e i rappresentanti di Washington in Italia, e probabilmente anche tra questi ultimi e il piano elaborato dal ministro Scelba.
D’altra parte, che i responsabili dei ministeri chiave per la politica filoatlantica dell’Italia fossero in stretto collegamento con gli apparati Usa è dato ormai acquisito, e ciò che preme evidenziare in questa sede sono, in realtà, le eventuali distorsioni che questo rapporto ha creato nella regolare attività politica e istituzionale del nostro paese. E una distorsione si ha certamente quando “attraverso contatti con prefetture e servizi segreti, il dipartimento dell’Esercito si preoccupa di sorvegliare personalità comuniste e socialiste” e i loro spostamenti in Italia e all’estero. Che comunisti e socialisti fossero discriminati, e possibilmente espulsi dalla pubblica amministrazione, lo ha raccontato anche il sen. Cossiga, ma appare evidente come il controllo degli spostamenti di parlamentari ed esponenti politici all’interno del loro paese non può non rappresentare una palese violazione dei diritti e delle prerogative sancite dalla nostra Costituzione. Ciò che appare grave, in ogni caso, è che le mine poste alle fondamenta della democrazia italiana vengono collocate dagli americani in totale accordo – se non su richiesta – proprio del governo italiano.
Che questa fosse una necessità dettata dalla posizione filosovietica della sinistra italiana, trova peraltro la sua più clamorosa smentita proprio nei documenti americani. Una lettera del 13 febbraio 1952 al Dipartimento di Stato riferisce che “il Partito comunista […] prepara un’organizzazione segreta nell’eventualità che sia messo fuori legge. Due tipi di comitati sono stati formati: uno di natura politica e l’altro di natura paramilitare per l’organizzazione di formazioni partigiane e la preparazione della guerriglia”. Con ciò si può probabilmente porre fine alla famosa tesi della pericolosità del Pci, e del suo ruolo di quinta colonna sovietica all’interno del blocco Nato. Ancora nel 1952, il Pci “prepara un’organizzazione segreta” e non dispone, quindi, di alcuna struttura di questo genere; inoltre, stando alla fonte statunitense, la struttura servirebbe ai comunisti nell’eventualità di essere messi fuori legge, e non ha, pertanto, alcuna caratteristica offensiva, neppure in relazione ai canoni della guerra fredda. Piuttosto, rivelandosi sempre più evidente l’ingerenza americana negli affari interni del nostro paese, il Pci inizia a organizzarsi nella sciagurata ipotesi che possano prevalere i settori più duri dell’amministrazione americana, decisi a tutto pur di impedire alla sinistra qualunque avvicinamento alla stanza dei bottoni.
Ma è proprio questa la strategia della Casa Bianca. Inventare il nemico, aumentarne sproporzionatamente il pericolo e le capacità, intervenire per spezzarne le velleità. Che questo pericolo non esista realmente, non è preoccupazione americana, e sembra quasi che questo ruolo “creativo” sia affidato al governo italiano, sempre secondo procedure sperimentate e uomini di sicura affidabilità. E’, in buona sostanza, il semplice meccanismo della strategia della tensione: creare i presupposti, falsificandoli, per legittimare la reazione.
Negli anni ’50, in attesa di “tempi migliori”, l’oltranzismo atlantico si esercita e arma le proprie strutture e i propri uomini. Torneranno utili quando, dalla fase teorica e preparativa, si passerà a quella operativa, inizieranno gli scontri preorganizzati tra lavoratori e forze dell’ordine con l’ausilio dei provocatori, si infiltreranno uomini dello Stato nelle organizzazioni eversive con il compito di accelerarne la deriva in funzione reazionaria, e scoppieranno infine le prime bombe.
tratto da: http://www.archivio900.it/it/documenti/doc.aspx?id=504