“Lezioni sulla Massoneria ” che Johann G. Fichte tenne nel 1800 e pubblicate da Fischer nella rivista massonica “Eleusinien”. [amazonjs asin=”8898457650″ locale=”IT” title=”Filosofia della massoneria. Un testo fondamentale sul pensiero massonico”] LEZIONE PRIMA – Si parte dall’esistenza di uomini saggi e virtuosi nell’Ordine Frammassonico. – Lo scopo dei saggi é lo scopo finale dell’Umanità. – L’evoluzione umana vien posta in pericolo dalla divisione del lavoro – In seno alla divisione del lavoro una società particolare non può avere alcun compito. – Lo scopo di una società particolare può essere soltanto quello di risollevare a cultura umana universale l’unilateralità delle classi sociali. – Limiti di questa determinazione dello scopo: educazione alla libertà etica o alla sensibilità morale? – Può valere la Frammassoneria come fine a sé stessa? – Che cosa opera la cultura massonica nel Massone: l’immagine dell’uomo maturo. – Quale azione esercita la cultura massonica sul mondo: influsso reciproco delle classi sociali.
LEZIONE SECONDA– Lo scopo finale dell’esistenza umana: i problemi di questa vita alla luce dell’eternità. I tre punti principali di questo problema: Chiesa, stato, dominio sulla natura. – Qual’è l’oggetto della cultura massonica? Procedendo dall’educazione dell’intelletto, essa é istruzione. – Lo scopo ecclesiastico come oggetto dell’istruzione massonica: la concezione universalmente umana della religione – La classe particolare, a cui é affidata l’educazione religiosa della maggiore società. – Lo scopo politico nell’istruzione massonica: Amor di patria e sentimento cosmopolita. – Il lavoro nella concezione massonica. – Le istituzioni segrete di cultura son certo altrettanto antiche quanto la divisione delle classi. – Queste istituzioni segrete costituiscono sicuramente una tradizione continua attraverso tutta la storia. – La forma didattica di queste istituzioni deve essere metaforica, e quindi segreta: né può usare altro che la comunicazione orale. – Il contenuto di questa istruzione non può essere altro che la sapienza della cultura universalmente umana, che ogni epoca deve cercare nei misteri. Si parte dall’esistenza di uomini saggi e virtuosi nell’Ordine Frammassonico Voi non potete esigere ragionevolmente che io vi debba concedere altra conoscenza dell’Ordine salvo che esso esiste. Ciò che pretendete di sapere dai vostri libri intorno alla maniera della sua esistenza, io già posso non riconoscerlo, per ciò che tutte queste letture non hanno generato in voi alcun sapere e solo vi hanno avviluppato nelle contraddizioni. E nel dubbio di quale dei vostri autori dovete mai fidarvi, se non possedete alcun criterio per valutarli e nessun termine medio per collegarli? E per quanto voi possiate anche credere, o, per usare il vostro linguaggio, trovare verosimile o più verosimile alcunché secondo la critica storica: tuttavia mi richiamo al vostro proprio sentimento, quando sostengo, che la vostra vera conoscenza della cosa, strettamente intesa, non va più in là della esistenza dell’Ordine. Ma questo é anche per me affatto sufficiente, e solo vi invito a concatenare a questa conoscenza sicura altrettanto sicure conclusioni: vogliamo però noi trovare che cosa é in sé e per sé stesso l’Ordine Frammassonico? – No, non tanto questo, ma piuttosto che cosa esso può essere in sé e per sé stesso, o, se volete, che cosa deve essere. Questa domanda vi stupirà, perché non l’avevate ancora mai fatta, ma essa é, secondo il Sovrano, l’unica che voi possiate fare. Ciò che Ordine è, apprendetelo per amor mio, se vi piace, dai frammassoni sfracellati; – che cosa può essere, siete in grado di trarlo da una fonte migliore, dalla vostra ragione. Ma se sapete ciò, voi non crederete, secondo una certa coerenza, che esso sia realmente in sé e per sé stesso così, quanto che così può essere secondo la vostra logica convinzione; per lo meno non potrete sostenere la prima tesi (ma nemmeno negarla), perchè per far ciò dovreste essere degli iniziati. E avete più probabilità di essere con pieno diritto un legislatore massonico, che non di poter arrischiare con qualche diritto questa tesi. Cerchiamo su questo campo, dove tutto vacilla, un punto saldo su cui poggiare sicuramente il piede, e muoviamo da dati di fatto indiscussi. Sapete che nei primi decenni del secolo XVIII precisamente in Londra, viene fuori pubblicamente una società, che verosimilmente é sorta ancor prima, ma della quale nessuno sa dire donde venga, che cosa sia e che cosa voglia. Essa si propaga, non ostante ciò, con inconcepibile rapidità, e si diffonde attraverso la Francia e la Germania in tutti gli stati dell’Europa cristiana, e perfino in America. Uomini di tutte le classi, reggenti, principi, nobili, dotti, artisti, commercianti, entrano nella sua cerchia: cattolici, luterani e calvinisti si fanno iniziare e si chiamano l’un l’altro Fratelli. La società che, non si sa per qual ragione, o almeno, com’io vi prego di credere, molto accidentalmente, si chiama Associazione di Liberi Muratori, attrae l’attenzione dei governi, vien perseguitata nella maggior parte degli stati, per esempio in Francia, in Italia, in Olanda, in Polonia in Ispagna in Portogallo in Austria in Baviera e a Napoli, colpita dal bando di due pontefici, dappertutto gravata delle accuse più contraddittorie, e sopra di essa si getta ogni sospetto che sia odioso alla gran massa e attiri l’odio di questa. Ma essa resiste a tutte queste tempeste, si diffonde in altri stati, si trapianta dalle capitali nelle città di provincia, dove prima appena la si conosceva di nome: e trova inaspettatamente protezione e appoggio in un luogo, se nell’altro deve affrontare gravi pericoli: là vien cacciata come nemica del trono e promotrice delle rivoluzioni, e qua invece acquista la fiducia dei migliori governanti. Così essa arriva fino ai nostri giorni. Voi vedete come in quest’epoca i membri di tale società si domandino una buona volta seriamente: ma donde veniamo? Che cosa siamo e che cosa vogliamo? E vedete come d’ogni luogo si raccolgono per rispondere a queste proprie domande; come si guardano a vicenda, seri in viso, e ciascuno attende la risposta dal suo vicino, e infine come tutti comprendono, gridando o tacendo, che nessuno di loro, di quanti si son radunati, lo sa. Ora che fanno? Forse ritornano a casa, spiegano ai loro Fratelli la generale in scienza? Si sciolgono reciprocamente dai loro impegni e si separano l’uno dall’altro con un po’ di vergogna? – Niente affatto! l’Ordine perdura e si estende, allo stesso modo di prima. L’associazione soffre cose ancor più aspre. La ricerca del suo segreto vien più incalzante, esso é portato a conoscenza di tutti in pubblici scritti, per esempio nel Segreto dei frammassoni Scoperto, nella Frammassoneria Atterrata o Tradita; la considerazione di alcune Sette Massoniche é innalzata al grado della perfetta consapevolezza, di altre a quello della verosimiglianza: si trova qua e là la Massoneria ha servito solo a velare scopi abominevoli e si introducono questi scopi nella sua luce, che li uccide. Che accadrà ora? I frammassoni si dichiareranno sciolti dal segreto così tradito, per liberarsi d’un tratto dal sospetto di scopi innominabili, chiuderanno le logge, e metteranno nella loro biblioteca il frammassone sfracellato. – no! L’associazione continua a vivere, come se mai si fosse detta una sola parola né mai si fosse stampata alcuna lettera intorno a lei, e fosse mantenuto nel suo seno, senza romperlo mai, il silenzio. Infine l’associazione stessa si scinde interiormente; e cessando ogni unità, i Fratelli si dividono in sette, che chiamano sistemi, si tacciano vicendevolmente di eresia, si mettono in bando, e ripetono il gioco di una Chiesa che sola rende felici. Il venerabile Servati chiede: « e s’io volessi diventare frammassone, dove stanno i veri maestri? » e nel suo denso libro non sa dare alcuna risposta: intanto i massoni di tutti i colori e distintivi rispondono concordemente: « in nessuna, in nessuna altra parte che presso di noi ». Or che ne segue? il profano, che prima aveva tuttavia rispetto almeno per il nome di Fratello, trova adesso ridicoli i massoni che a vicenda si perseguitano e si accusano di eresia; e ricade sopra la Massoneria qualche cosa che é ben peggio di tutte le persecuzioni: il freddo scherno e la derisione della gente colta. Ne trarremo però senza esitazione la conseguenza dello scioglimento della mirabile società? No, ancora una volta! Essa si conserva e diffonde come sempre, e molti timidi Fratelli, che arrossirebbero fino alla radice dei capelli se si dicesse di loro in un circolo elegante che sono massoni, vanno coscienziosamente alla loggia allo stesso modo di prima. E come si é talora detto per ischerzo: « il maggior segreto dei frammassoni é, che non ne hanno nessuno »; così ora si può dire a buon diritto: « il segreto più divulgato e tuttavia più nascosto dei frammassoni é che essi sono e continuano a esistere. Invero, che cosa é mai, che cosa può essere ciò che lega insieme tutti questi uomini di pensiero vita e cultura quanto mai diversi, e li tiene vicini fra mille difficoltà, in quest’epoca, di chiarificazione e di progressiva freddezza?». Andiamo anche più in là, e consideriamo più da vicino questi stessi uomini. Forse si tratta di gran teste deboli, fanatici, ipocriti, intriganti o ambiziosi, che hanno fatto lega tra loro. Sicuro, é ben concepibile come l’uomo astuto e disonesto possa unirsi con dei pazzi, per guidarli ai propri fini o almeno divertirsi a spese della loro pazzia; concepibile come l’ambizioso possa cogliere il fanatico nella sua brama di misteri e per soddisfare il proprio orgoglio prendere ai suoi ordini l’uomo che altrimenti stia sopra a lui per condizione e per autorità; concepibile come l’intrigante si possa unire con teste deboli per far loro dire e – pagare ciò che gli piace. Ma no! – In tutte le epoche si trovano nell’Ordine gli uomini più saggi, più onesti, più rispettabili per ingegno, sapere e carattere; e in genere vi sono parecchi – certamente ve n’é uno – tra i Fratelli, a cui voi vi gettereste in braccio con piena fiducia, come al direttore e alla guida della vostra vita. Però – non trascuro alcuna possibile obbiezione – quest’uomo saggio e onesto può essere entrato, per un qualsiasi accidente e per un qualsiasi capriccio di gioventù, in un Ordine che gli fosse sconosciuto nella sua intima essenza: viene poi a conoscerlo, e trova che non val nulla, che procede innanzi sulla base di un giochetto infantile: ma non può tornare indietro, perché una certa vanità gli impedisce di dichiararsi illuso: mentre il suo interno pudore lo distoglie dal dedicarsi a tal vuotaggine, – e così egli si ritira, senza parere, nel silenzio. – Se questa é la vera istoria di tutti gli uomini onesti e saggi dell’Ordine, allora fermiamoci qui, chiudendo le nostre ricerche, vergogniamoci di aver onorato l’Ordine anche tanto così della nostra attenzione, e abbandoniamolo con un risolino di compassione ai fanatici in buona fede e agli intriganti egoisti. Ma così non é [la storia], per quanto son vere le vostre e le mie esperienze. Gli uomini veramente saggi e onesti, che noi conosciamo, sono andati innanzi nell’Ordine, se ne sono seriamente occupati, si sono affaticati per lui e gli hanno anzi sacrificato altri scopi importanti. E ora sono arrivato al punto che ritengo saldo e sicuro per voi, che non siete Massoni, e per ogni ragione conseguente: quanto é vero che anche soltanto un uomo indiscutibilmente saggio e virtuoso si occupa dell’Ordine Frammassonico, – di tanto é vero ch’esso non é un giuoco, di tanto é certo ch’esso ha uno scopo, anzi [uno scopo] serio e sublime. Così avremo dunque trovata la base da cui poter volgere lo sguardo a tutto il resto e spingere innanzi il piede con circospezione. Però, prima di far questo, vi sento dire: « È vero che uomini saggi e virtuosi si occupano seriamente dell’Ordine: é un fatto. Ma di che cosa si occupano? Dell’Ordine come esso é, o come e quale esso, per opera loro appunto, può diventare? Forse lavorano solo allo scopo di farne alcunché e scrivere sulla tabula rasa dei frammassoni qualche cosa che sia degno di loro? Se é così, voi avete con la vostra deduzione dimostrato soltanto ciò che si sapeva, che cioè l’uomo saggio e virtuoso nulla fa per ischerzo, ma niente avete conseguito a favore dei frammassoni ». – tutto [ho conseguito] di ciò che posso conseguire per loro appo voi: e poiché non ho altro modo di rispondervi, formulerò, sebbene essa sia già, perfettamente adatta al mio scopo finale, la mia proposizione così: quanto é certo che uomini saggi e virtuosi quanto mai seriamente si occupano dell’Ordine Frammassonico, di tanto é certo che esso può avere un fine razionale, buono, sublime. Questo fine, possibile o reale, cerchiamo ora di trovarlo nel proseguire per questa via. Noi possiamo cioè sapere che cosa possa, e che cosa necessariamente debba volere l’uomo saggio e virtuoso – quanto é vero che la saggezza e virtù é soltanto una, e determinata da leggi eterne della ragione. Dobbiamo quindi limitarci a indagare che cosa possa proporsi come scopo l’uomo saggio e buono in tal colleganza, – e con ciò avremo trovato con certezza dimostrativa l’unico scopo possibile dell’Ordine Frammassonico. Lo scopo dei saggi é lo scopo finale dell’Umanità Ciò che vuole l’uomo saggio e virtuoso, ciò che é il suo scopo, é lo scopo finale dell’umanità. L’unico scopo dell’esistenza umana sulla terra non é né cielo né inferno, ma solo l’umanità, che quaggiù portiamo in noi, e la sua massima possibile perfezione. Diversamente da questo nulla conosciamo: e ciò che noi chiamiamo divino, diabolico, bestiale, null’altro é che umano. Quanto non é contenuto nello scopo della perfezione più grande possibile, quanto non si riferisce ad esso, o non ha rapporto con esso né qual parte né quale mezzo, non può costituire lo scopo di nessun uomo, e l’uomo saggio e virtuoso non può proporselo come scopo sia nel più generale che nel più particolare dei casi: ciò che sta sopra o sotto all’umanità, giace anche fuor della cerchia del suo pensiero, dei suoi sforzi, del suo agire. In una qualsiasi misura quello scopo viene alla luce in tutti gli uomini, senza che essi chiaramente lo pensino e lo perseguano di proposito, semplicemente per via della loro nascita, e vien pure conseguito mediante la loro vita nella società: sembra come se non fosse il loro scopo, bensì un scopo unito a loro. Ma l’individuo cosciente lo pensa chiaramente, esso é il suo scopo, ed egli se lo pone qual meta cosciente di tutto il proprio agire. Come viene esso perseguito nella grande società umana? Forse tutto opera in favor suo direttamente e senza deviazioni, con forze associate? Non pare. [La società] non pensa né lavora con la chiarezza e con la consapevolezza proprie dei singoli saggi; su lei pesano le colpe del mondo trascorso, e occupata com’é di questi peccati, essa appena ha tempo di lavorare per una posterità che a sua volta avrà da lavorare per un’altra. Essa deve sostenere la sua gran lotta con la natura ostinata e con il tempo infingardo; essa vuole acquistar vantaggio su entrambi, e intanto la sua attività é sottoposta a una condizione svantaggiosa, ma inevitabile: essa ha divisa in parti l’insieme dell’evoluzione umana, se ne é distribuite le varie branche e attività, e a ciascuna condizione sociale ha assegnato il suo campo speciale di collaborazione. Come in una fabbrica si risparmiano tempo e spese con ciò che il singolo operaio per tutta la sua vita fa soltanto quella data forma di molla, di chiodo, ruota, o recipiente, dà soltanto quel dato colore, sorveglia e guida solo quella data macchina, e ciascun altro del pari per tutta la sua vita eseguisce la tal altra forma di lavoro, cui da ultimo riunisce in un tutto un capomastro sconosciuto a tutti loro: egualmente procede [la cosa] nella grande officina dell’evoluzione umana. Ciascuna classe lavora e produce alcunché per tutte le altre, oltre a ciò che ciascuno dovrebbe fare per la propria parte e per la sua stessa persona: e quelle producono alla lor volta anche per lei ciò per cui non ha né tempo né attitudine l’uomo ben altrimenti occupato per il loro benessere. Al benessere e al perfezionamento del tutto guida ogni opera dei singoli l’invisibile mano della provvidenza. – Così scende il dotto nelle profondità dello spirito e della scienza, per evocare alla luce ciò che dopo alcune epoche sarà a tutti facile e giovevole, mentre il contadino e l’operaio lo nutrono e lo vestono; l’impiegato dello stato fa valere il diritto, che senza di lui dovrebbe applicare la comunità stessa, e il guerriero difende l’inerme, che lo nutre, contro la potenza straniera. L’evoluzione umana vien posta in pericolo dalla divisione del lavoro. Ora, ciascun singolo si forma in grado eminente soltanto per la condizione che ha scelto. Dalla giovinezza in poi egli viene per sua scelta e per circostanze accidentali determinato verso una forma di vita, e viene tenuta in conto della migliore quell’educazione che prepara il ragazzo per la sua futura vocazione nella maniera più conforme allo scopo; rimane posto in disparte tutto ciò che sta nella più stretta relazione con quella, o ciò che in lui non può, come s’usa dire, essere utilizzato. Il giovinetto destinato a diventare un dotto impiega tutto il suo tempo a imparare le lingue e le scienze, e proprio con preferenza per quelle che sono necessarie per guadagnarsi il pane in avvenire, quindi con minuziosa esclusione di quelle che richiede la formazione del dotto in generale. Tutte le altre forme di vita e attività gli sono estranee, com’esse [del resto] sono estranee l’una all’altra. Il medico ha rivolto tutta la sua attenzione alla sola medicina, il giurista alla legislazione del suo paese, il mercante a quel determinato ramo del suo commercio, il fabbricante alla sola produzione del suo manufatto. Nel suo campo egli sa quanto occorre, e anzi con maggiore chiarezza e fondatezza: questo [sapere] gli é quindi particolarmente caro, e lo considera come sua proprietà acquisita; in esso vive come nella sua casa paterna. – E tutto questo é bene, ciascuno fa in ciò il proprio dovere, e il tenore contrario non solo sopprimerebbe tutti i vantaggi della società, ma sarebbe dannoso anche al singolo, come al tutto. Ma da ciò sorge in tutti necessariamente una certa incompiutezza e unilateralità, che, se non proprio necessariamente, almeno però abitualmente si trasforma in pedanteria. La pedanteria, che ordinariamente si confonde con la sola classe erudita – forse perché essa vi é più visibile, forse perché vi si dimostra maggiore intolleranza, – domina in tutte le classi sociali e il suo principio fondamentale é dappertutto il medesimo, cioè il seguente: di tenere in conto di educazione generalmente umana l’educazione appropriata al proprio stato particolare, e fare ogni sforzo per realizzarla. Così l’erudito pedante stima solo la scienza e deprime ogni altro valore; le sue lezioni e conversazioni in società di gente mista procedono allo scopo di comunicare ai suoi uditori una particella della sua dottrina e farli bramosi della precisione di pensiero ch’egli possiede. Il mercante pedantesco sprezza per contro l’erudito e proclama: « non vi é che computo e denaro! il denaro é la soluzione [del problema] della vita ragionevole e felice». il guerriero sprezza l’uno e l’altro, stima soltanto forza fisica e agilità, coraggio bellico e difesa dell’onore com’egli la intende, e non gli rincrescerebbe arruolare tutti quelli che sanno battere il tempo di marcia. i teologi in modo eminente (poiché la loro classe ha ottenuto fra tutte il maggior influsso, o per amore del cielo o per timore dell’inferno) si affaticano, da quando hanno esistenza, a educare in tutti gli uomini, fino giù ai ragazzi del villaggio, dei teologi ben fondati e dei dogmatici di polso. – « Mirate avanti tutto al regno di Dio, il resto é cosa meschina! » dicono i teologi, e con loro tutte le altre classi sociali, – e sappiamo bene quello che intendono per il regno di Dio. Così domina dappertutto una grande unilateralità, ora utile e ora dannosa: così ciascun individuo non é soltanto un dotto, ma teologo o giurista o medico, – non é soltanto uno spirito religioso, ma cattolico o luterano, ebreo o maomettano, – non é soltanto un uomo, ma politico, mercante, guerriero; e così dappertutto si impedisce, con l’educazione di classe più alta possibile, la più alta possibile evoluzione dell’umanità, il sommo fine dell’esistenza umana; anzi essa deve restar impedita, perché ciascuno é gravato dall’ineliminabile dovere di educarsi il più perfettamente possibile per la sua particolare occupazione, e questo é quasi impossibile se non si affronta il rischio dell’unilateralità. In seno alla divisione del lavoro una società particolare non può avere alcun compito Ritorniamo ora, seguendo queste premesse, alla Frammassoneria, per non staccarcene più, e costruiamovi sopra alcune durevoli conseguenze. La Massoneria invero non può proporsi nessuno degli scopi, a cui si dedica già notoriamente e apertamente qualcuna delle classi, degli indirizzi e ordinamenti esistenti nella società umana; essa non può voler attraversare la strada, né procedere accanto ad alcun’altra associazione: poiché in tal caso essa sarebbe superflua, in quanto volesse fare già quel che già accade senza di essa. – Né potrebbe addurre a propria scusa il fatto che la pubblica istituzione, di cui volesse mettersi a fianco e adottare lo scopo, fosse manchevole e difettosa. É cosa di mera usurpazione il voler far meglio in via di occupazione secondaria ciò che altri non possono far meglio come loro occupazione principale; è una pazzia il pronunciare sentenza di condanna sopra istituzioni, che forse si conoscono soltanto secondo il loro aspetto esteriore, e non secondo le inevitabili difficoltà che esse trovano nell’oggetto della loro attività. Ciascuna di queste istituzioni in seno allo stato porta in sé stessa il germe del miglioramento e tende alla perfezione: per la Massoneria può solo presentarsi, in generale, il problema, se vi é un’istituzione per un certo scopo, e non come essa vi soddisfa; poiché di ciò altri hanno a curarsi. Se essa volesse attivamente invadere un piano d’azione estraneo, non farebbe che diffondere il disordine, e in pari tempo disturberebbe e devierebbe la sua attuazione; sarebbe anzi sommamente nociva, in quanto dovrebbe oltre tutto far ciò in segreto, poiché pubblicamente non si conosce alcun singolo ramo dell’incivilimento umano ch’ella potesse intraprendere. L’uomo savio e virtuoso non potrebbe sostenere una tal società, qualora essa volesse occuparsi di questioni ecclesiastiche o politiche, filosofiche erudite o commerciali: egli dovrebbe anzi, una volta conosciuta la sua esistenza perturbatrice, giudicarla a fondo. E non occorrerebbe altra maggiore fatica che di farla conoscere; poiché é supremo interesse dell’intera società umana e di ciascun suo ramo, dello stato, della Chiesa, del pubblico dotto e commerciante, di annientare una tale associazione, tostoché essa venga conosciuta. Così resterebbe interamente e incondizionatamente escluso dalla Massoneria ogni scopo di cui già si occupi una qualche classe sociale; e sarebbe egualmente pazzesco e ridicolo che i suoi membri si occupassero in segreto di fare buone scarpe, che di riformare nel tutto o nelle parti lo stato. Ogni Massone, che volesse negare ciò, porrebbe in non cale non solo il suo buon volere e la sua intelligenza massonica, ma il suo stesso buon senso. Ma un qualche scopo essa deve però averlo: altrimenti sarebbe un vano, vuoto scherzo, e l’uomo savio e virtuoso tanto poco potrebbe occuparsene, quanto se essa si proponesse il suddetto scopo dannoso. Ma questo può essere solo uno scopo di tal genere, che la maggiore società umana non abbia per esso alcuna speciale istituzione; uno scopo per cui ella, giusta la natura dello scopo stesso e quella della società, non possa avere alcuna speciale istituzione. Poiché se la società potesse avere una tale istituzione, all’uomo savio e virtuoso meglio converrebbe accogliere questa istituzione in seno della grande società e farnela anzi scaturire, piuttosto che voler promuovere il suo fine mediante una separazione da questa società. La natura della grande società e dello scopo pertinente alla sua cerchia esigerebbe incondizionatamente che egli richiamasse attenzione dello stato sopra questo ramo sin qui dimenticato, e quasi non si riesce a concepire come, della sua attività; allo stato egli dovrebbe poi, e di nuovo incondizionatamente, lasciar piena libertà di pensare o no alle istituzioni corrispondenti; in nessun caso potrebbe egli segregarsi con una società per dedicarsi attivamente a questo scopo, perché ei non é fatto, assolutamente, per questa forma di attività. Si domanda ora se può darsi un siffatto scopo, razionale e buono, per il quale la maggiore società non possa, giusta la sua natura, avere alcuna istituzione particolare, e quale sia questo scopo; – e l’unico scopo possibile della Massoneria (considerata nel suo puro aspetto di società « separata ») sarebbe così trovato. Vediamo. Lo scopo di una società particolare può essere soltanto quello di risollevare a cultura umana universale l’unilateralità delle classi sociali Verrò tosto a illuminare più da presso la vostra congettura che io pensi in qualche modo di porre la Frammassoneria come fine a sé; stessa, quando vi avrò posto innanzi, come chiave di volta di questa serie di riflessioni, la seconda conseguenza della nostra precedente considerazione su la maggiore società umana. Abbiamo riconosciuto essere un male, che la cultura che si svolge dentro la maggiore società e a suo vantaggio vada sempre del pari congiunta con una certa unilateralità e incompiutezza, la quale si oppone alla evoluzione più alta possibile, ossia puramente umana, e impedisce il singolo uomo, come intera umanità, di procedere felicemente verso la méta. Ci é dato ora un scopo, che la maggior società umana non può affatto prender di mira, in quanto esso le sta ben al di sopra e vien posto primieramente per l’esistenza della società [stessa]: uno scopo che può venir conseguito solo uscendo dalla società e segregandosi da lei, lo scopo di annullare gli svantaggi della forma educativa nella maggiore società, e assorbire la cultura unilaterale per una particolar condizione nella cultura generalmente umana, nella [cultura] universale dell’uomo tutto quanto – come uomo. Questo scopo é grande, poiché ha per oggetto ciò che per l’uomo assume il massimo interesse; esso é razionale, poiché esprime uno dei nostri più sacri doveri; é possibile, in quanto é possibile tutto ciò che noi dobbiamo fare: ed é [invece] quasi impossibile, o almeno estremamente difficile, a conseguirsi nella grande società, perché la condizione, la forma di vita, le relazioni [sociali] avvincono l’uomo di legami sottili ma saldi, e lo attraggono, senza che egli se ne accorga, in una cerchia [invalicabile], laddove egli dovrebbe procedere innanzi. Pertanto [tale scopo] é raggiungibile solo mediante una segregazione dalla società: ma non mediante una segregazione perpetua, perché ne sorgerebbe una nuova uniteralità, e perché con ciò andrebbero perduti per la società i vantaggi della cultura puramente umana in qualche modo acquisita, e perché a questo soltanto si vuol mirare, a fondere insieme entrambe le forme educative, e così innalzare la necessaria cultura di classe; – bensì mediante il ritiro nella solitudine, poiché questa rafforza la nostra unilateralità più che non la sopprima, e ricopre il nostro cuore d’una corteccia egoistica; – dunque soltanto con l’aderire a una società separata dalla [società] maggiore, ma che non nuoce a nessuna delle nostre relazioni dentro a quella e che ha ricevuto in sorte l’ufficio di metterci di tempo in tempo davanti agli occhi ed a cuore il fine dell’umanità, per farne il nostro [scopo] pensato, e che lavora con mille espedienti a straniarci dalle nostre scostumanze professionali e sociali, ad elevare la nostra cultura a [cultura] puramente umana. Questo, o nessun altro, é lo scopo della società frammassonica, in quanto é certo che si occupano di essa uomini saggi e virtuosi. – Il Massone, che nacque uomo ed é passato attraverso l’educazione della sua classe, attraverso lo stato e le sue rimanenti relazioni sociali, deve essere su questo terreno nuovamente educato da capo a fondo per essere uomo. – Ma ciò può essere soltanto lo scopo di una società « separata »; e risponde quindi, per noi, al problema che avevamo impostato: che cosa é l’Ordine Frammassonico in sé e per sé? Ovvero, se preferite, che cosa può essere? « Peraltro, voi dite, questo scopo é da una parte troppo ampio, dall’altra troppo ristretto. Troppo ampio, perché può essere conseguito per altre vie, con la meditazione, i viaggi, l’affaccendarsi in mezzo agli uomini e nella vita sociale; troppo ristretto, perché nessuna società di qualsiasi specie può, secondo la sua natura, operare il perfetto raggiungimento di esso ». Quanto al primo punto, sul quale soltanto in seguito verrà tutta la luce necessaria, io rispondo per ora sol brevemente così: l’uomo può staccarsi dal cammino prefissato e prendere un atteggiamento che esorbiti dalla sua condizione; può imparare a cancellare dalla sua personalità esteriore la pedanteria, ed elevare il suo modo di pensare a una maggiore universalità che non prima. Ma il suo intima rimane da tutto questo imperturbato: egli continua sulla sua vecchia strada, pur dietro a siepaglie ed eleganti pareti. Mediante la mera riflessione egli può forse cancellare dentro di sé lo spirito di classe, ma anche conferire al suo carattere individuale, che ancor più é diverso da quello della pura umanità, tanto maggiore caparbietà. Ciò che deve essere qui operato in tutta serietà può avvenire solo in una società separata come noi l’abbiamo dedotta, e come voi presto la concepirete, in mia compagnia, secondo la sua complessiva attività. Limiti di questa determinazione dello scopo: educazione alla libertà etica o alla sensibilità morale? La seconda obiezione che avete accennata é più importante; e io aggiungo alla mia precedente definizione dello scopo [massonico] questa significativa limitazione: in quanto una tale cultura possibile mediante una società espressamente indirizzata a questo fine. Vi é, infatti, una forma di cultura generalmente umana, in forza della quale ciascuno prende soltanto se stesso, la sua coscienza e Dio per testimoni e giudici: é l’educazione alla libertà etica. Voi conoscete la mia convinzione a questo riguardo. « ciascuno che si creda onesto di fronte a sé stesso, – così scrivevo altrove, alcuni anni fa, – deve instancabilmente osservare sé stesso e lavorare per nobilitarsi: il che deve essergli diventato, in forza dell’esercizio, affatto naturale. Ma questa occupazione non sembra, giusta la sua natura, esser capace di alcuna comunicazione. Andai da un pittore, ch’io volevo veder lavorare: ed egli mi mostrò tutti i suoi dipinti, perfino quelli ancora incompiuti; ma per quanto lo pregassi, egli non vi volle por mano sotto i miei occhi, e affermava che le opere del genio riescono solo nella solitudine. Questo mi trasse a considerare l’opera del genio morale dentro di noi, e intuii la verità, che anche in ciò bisognava essere soli; trovai sempre più confermato [il concetto] che il vero sforzo per nobilitarsi é assai timido e vergognoso, anzi si ritrae in sé stesso e non può affatto comunicarsi [ad altri]. – Giammai avevo posto in questione il mio miglioramento innanzi à me stesso: come potevo desiderare di metterlo tuttavia in discorso innanzi ad altri! Bastava che io agissi diversamente, e che i miei amici, come io medesimo, conoscessero la crescita della pianta solo dai suoi frutti. Pertanto non si deve mai portare alla luce il proprio miglioramento, né abbassarsi mai a una mera confessione dei propri difetti, ma estirparli. Dobbiamo provarne nausea: allora non staremo più a rigirarli per un verso e per l’altro, per esprimerli con esatte ed eleganti determinazioni. Qualora si volesse, per un malinteso sentimento del dovere, obbligare anche a questo – per un certo spirito eroico nell’amicizia (o a favore di un fine sociale), si verrebbe soltanto a prender confidenza con essi, a renderseli cari, per lo meno a non paventare più l’esistenza di difetti che si sono così clamorosamente condannati, per lo meno a infiacchirsi nella confessione, in quanto la si mettesse in conto di miglioramento ». E così é. Formare la propria educazione alla libertà etica per una data condizione sociale, parlarne con altri, lasciarsi trascinare da loro al rendiconto e confessarsi a loro o farsi confessare, – scompiglia l’animo da capo a fondo: poiché ciò trae a deporre il santo pudore, a diventare il più peccaminoso tipo di ipocrita, l’ipocrita verso sé stesso; e una società che si ingeriva di questo condusse effettivamente al più tetro ascetismo monacale. – Pertanto la Massoneria non ha niente a che fare con questa forma di educazione alla pura umanità: come [non ha niente a che fare con essa] nessuna società che non sia composta di fanatici e che abbia compreso l’Oraziano: Insani sapiens momen ferat, aequus iniqui, Ultra, quam satis est, virtutem si pelai ipsa (1). tutto ciò che accade secondo una qualsiasi distinzione fra gli uomini, sia che miri alla capacità tecnica o a conoscenze o alla virtù, é profano di fronte alla Massoneria: ma di fronte a ciò che riguarda la libertà etica, la Massoneria stessa é profana e irreligiosa: poiché quella é il santo dei santi, in paragone del quale il santo stesso é volgare. – Questo solido concetto, interamente determinato e chiaro in sé, dovremmo elevarlo assolutamente a canone della Massoneria e a principio di una critica di ogni cosa massonica, qualora avessimo da impiantare una critica siffatta. Altra cosa é certamente, per accennare in breve anche questo, l’educazione dello spirito e [altra] l’aspirazione alla sensibilità morale, la formazione dei costumi esteriori e dell’esteriore osservanza alla legge. Questa appartiene senza dubbio alla Massoneria. Ora voi avrete presente all’animo immagine della Massoneria, come essa é in sé e per sé stessa, o può e deve essere unicamente. Ma aggiungerò ancora alcuni tratti a questa immagine. Qui si raccolgono invero, liberamente, uomini di tutte le classi e portano ad un sol cumulo la cultura che ciascuno poté acquistare secondo la propria individualità, nella sua condizione. Ciascuno porta e dà quello che possiede: la testa pensante concetti chiari e precisi, l’uomo d’azione capacità e agilità nell’arte del vivere, il religioso la sua religiosità, l’artista il suo entusiasmo artistico. Ma nessuno dà [il suo contributo] nella stessa maniera, in cui egli l’ha ricevuto nella sua classe sociale e nella sua classe lo trapianterebbe. Ciascuno lascia del pari da parte l’elemento singolo e specifico, e mette fuori ciò che egli ha realizzato nel suo intimo come risultato: si sforza di dare il suo contributo in modo che possa pervenire a ciascun membro della società; e l’intera società si affatica a sostenere questo suo conato e a conferire appunto così utilità generale e universalità alla sua cultura, fin qui unilaterale. In tal colleganza ciascuno riceve nella stessa misura di quello che dà; appunto per via di questo, che egli dà, gli viene dato; e precisamente la capacità di poter dare. Note: 1. [horat. epist. i, 6, 15-16: « porti il sapiente nome di stolto, e il giusto di iniquo – quando egli ricerchi la virtù stessa più di quanto occorre »]. Il saggio si attira nome di pazzo, e Aristide diventa ingiusto, «tosto che egli pratichi la stessa virtù più del giusto » [Wieland]; – ovvero: quando egli ricerca la virtù stessa affannosamente per false vie. Può valere la Frammassoneria come fine a sé stessa? Ora soltanto rispondo alla vostra domanda: “Non si può porre la Frammassoneria come scopo a sé stessa”; semplicemente perché essa mi porge l’occasione per alcune determinazioni complementari. Voi siete giunti a questa idea, come da voi medesimi comprendete, paragonando la Frammassoneria con la religione. Si può domandare, quale sia il fine della Chiesa: – il propagamento della religione? Senza dubbio, proprio di questa, poiché essa è meramente il risultato, l’esigenza dello spirito e del cuore nella loro armonia, il frutto della nostra saggezza, il più alto fiore della nostra ragione, la dignità della nostra natura. A che cosa deve essa ancora valere, o servire qual mezzo, che [altro] deve proporsi a scopo finale? Così l’Ordine dei Liberi Muratori esiste per mantenere, per conservare la Frammassoneria; essa pure non é buona per alcunché, ma buona in sé e per sé, non già mezzo per un qualsiasi scopo. A che altro deve mai ancora mirare? Ciò ch’essa opera e può operare, ciò che essa ha generato in lui e anche in altri deve generare, questo deve conoscere il vero Massone: e questo é – Frammassoneria. Pertanto sarebbe vano, in generale, il ricercare un suo fine, come il rispondere a tal richiesta e l’impostare il concetto d’un siffatto fine (come noi abbiam fatto); essa verrebbe ad esistere in forza di sé medesima, dovrebbe assolutamente essere e sarebbe una parte costitutiva dell’assoluto. E vi é un certo senso, in cui si può benissimo concepire questa tesi e nel quale essa é vera e importante; ma essa non sembra essere espressa in forma sufficientemente determinata. Si parla spesso, non preciserò qui se con esattezza filosofica, di un senso ampio e amplissimo, ristretto e strettissimo delle parole e delle proposizioni nella filosofia. Sicché ciascuno potrebbe dire: « se io chiamo la Massoneria fine a sé stessa, penso alla Massoneria nel suo significato più ristretto. Ma questa é per me appunto quella cultura comune [a tutti], puramente umana, che tu hai posto come fine della Massoneria. Quindi per me il suo fine é – essa medesima ». Ciò é giusto in sostanza, ma le parole sono un po’ oscure a comprendersi. – L’uomo é fine a sé stesso e quella cultura puramente umana é una maniera di essere dell’uomo assolutamente postulata, quindi una parte costitutiva di ciò che é fine a sé stesso, ossia dell’assoluto. Ma si doveva pur da ognuno riconoscere per espressioni equivalenti Massoneria e cultura universalmente umana? La sentimentalità massonica (dopo che si abbia cioè spiegato a bella prima l’espressione nel modo teste concesso) può essere chiamata fine a sé stessa, ma suona poi tanto Massoneria, Ordine Frammassonico, quanto sentimentalità massonica? La Massoneria non é una cultura o un sentimento, ma una società o colleganza. Non posso dire: il Fratello n. n. ha compiuto secondo la sua Frammassoneria questa lodevole azione, ma essa è una prova dei suoi buoni sentimenti massonici; ovvero: il signor n. n. ha in sé la Frammassoneria, senza essere accolto nell’Ordine, sebbene egli può possedere la vera (massonica) sentimentalità di una cultura universalmente umana. – Ma poiché ora la parola « Massoneria » indica associazione, essa non può essere chiamata fine a sé stessa, ma soltanto mezzo, poiché l’associazione per il fine prefisso é solo mezzo e non deve essere in senso assoluto, ma solo sotto la condizione di una certa situazione del mondo, quale essa é pur ora presente. Invero, soltanto perché lo scopo, che la società separata si propone, non può essere conseguito nella grande [società] come essa é presente, verrà fondata la società: separata. Ma la più grande società non é necessariamente così come essa é: può venir pensata nel campo della ragione affatto diversamente, per lo meno senza la condizione più sopra indicata nella formazione dell’individuo: deve piuttosto progredire del continuo verso il meglio, e questo meglio consiste, affatto particolarmente, anche nell’uguaglianza e armonia della cultura di tutti gli individui. Se essa fa questo, nella stessa misura appunto ch’essa in ciò progredisce la società, separata diventa meno necessaria; e quando quella ha raggiunto la sua méta, [questa é ormai] superflua e inconsistente. Ora, di una cosa tanto relativa si può dire che sia parte costitutiva dell’assoluto. Si potrebbe replicare, che sia scopo di tutta l’umanità costituire un’unica grande colleganza, come presentemente dovrebbe essere quella massonica. Ma la stessa mera esistenza della Massoneria dimostra che ciò, che noi abbiamo chiamato fine in sé, non é ancora affatto conseguito. L’esempio, di cui si fa uso per quella tesi, deve porre in più chiara luce il suo opposto. Si dice: non si potrebbe ricercare un fine della religione (o più precisamente: della religiosità, del sentimento religioso), ma invece un fine della Chiesa. Benissimo! solo che al concetto della religiosità appunto corrisponde non già il concetto della Massoneria, ma piuttosto quello della cultura puramente umana; a quello della Chiesa per contro [corrisponde] proprio quello della Massoneria, o (che poi é lo stesso) dell’Ordine dei Liberi Muratori. – Massoneria significa dunque (per riassumere tutto in breve) non il sentimento, bensì associazione: ma questa, per generare quel sentimento, e condizionata da alcunché di accidentale, che appunto per questo non potrebbe nemmeno essere e nel fatto non dovrebbe essere. La Massoneria non é quindi fine a sé stessa, tanto poco quanto, secondo quella particolare opinione, la Chiesa; e per l’una come per l’altra si può, con tutti i diritti filosofici, ricercare i loro fini e determinarli in forma chiara e precisa. Questo spero di aver fatto nei riguardi della Massoneria. Ma non siamo ancora alla fine: non solo dobbiamo ancora indagare che cosa e come operi la Massoneria tanto verso i suoi membri che verso il mondo, ma altresì distinguere compiutamente l’un dall’altro i principi fondamentali più sopra affermati e applicarli più largamente, affinché essi diventino atti e sufficienti alla valutazione della situazione presente della Massoneria e dell’attività massonica. Che cosa opera la cultura massonica nel Massone: l’immagine dell’uomo maturo Il nostro primo quesito sarà pertanto: che cosa opera l’Ordine nel Massone? – il secondo [invece]: quale azione esercita esso sul mondo? – mi stringerò in breve, e potrò così accontentarmi di [dare] fruttuosi accenni. Se l’associazione non é intieramente vana e inattiva, colui che vi si trova deve però, senza dubbio, – stia pure egli a quel livello della cultura che più gli talenta, – avvicinarsi alla maturità assai più che non avrebbe fatto lo stesso individuo, fuori dell’associazione. Nel caso dell’uomo sveglio e pronto ciò vale anzi per ogni nuova relazione in cui egli entra. Io prendo qui maturità e pienezza di cultura universalmente umana per termini equivalenti, e a buon diritto. La cultura unilaterale é sempre immaturità: quand’anche da una parte dovesse essere eccesso di maturità, dall’altra però sarebbe certamente, appunto a tal uopo, aspra e acerba immaturità. Il principale segno distintivo della maturità é la forza mitigata dalla grazia. – Tutti quei suoi potenti corrucci, quei larghi impeti e assalti sono le prime e anche necessarie tirate e scosse della forza che si sta sviluppando; ma essi non si constatano più, dopo che é compiuto lo sviluppo e si é pienamente realizzata la bella forma spirituale. O per dirla coi termini retorici della scuola: una volta venuta la maturità, l’ardita poesia si disposa alla chiarezza della mente e alla rettitudine del cuore, e la bellezza entra in connubio con la saggezza e la fortezza. Questa é l’immagine dell’uomo maturo ed evoluto, qual io lo concepisco: la sua mente é del tutto chiara e libera da pregiudizi d’ogni specie. Egli signoreggia il regno dei concetti e stende il suo sguardo sul dominio della verità umana più lungi ch’é possibile. Ma la verità é per lui, interamente, soltanto una, solo un tutto unico e indivisibile; nessuna parte di essa egli antepone ad un’altra. Anche la stessa cultura dello spirito é tuttavia per lui solo una parte dell’intera cultura: e tanto poco gli va a genio di farla finita esclusivamente con quella, quanto meno gli verrà in mente di farne a meno. Vede benissimo, e non si fa ritegno di convenirne, quanto altri siano in ciò più addietro di lui; ma non si sdegna per questo, poiché sa quanto dipenda anche in ciò dalla fortuna. Non impone a nessuno la sua luce, e tanto meno la mera apparenza della sua luce; sebbene egli sia sempre pronto a darne, secondo le sue capacità, a ciascuno che lo desideri, e a dargliela in quella singola forma che gli é più gradita, – Tuttavia egli si tiene contento anche quando nessuno ha brama dei suoi lumi. É integralmente retto; coscienzioso, forte contro sé stesso nel suo intimo, senza dare esteriormente la minima importanza alla sua virtù, né imporne agli altri la contemplazione mediante affermazioni della propria onorabilità e sacrifici clamorosi e affettazione di alta serietà. La sua virtù é tanto priva di artificio e, direi quasi, pudica, quanto la sua sapienza; il suo sentimento dominante presso le debolezze degli altri uomini é di benevola compassione, non già, affatto, di sdegnoso corruccio. Egli vive fin di quaggiù nella fede in un mondo migliore, e questa fede soltanto conferisce agli occhi suoi valore, significato e bellezza alla sua vita su questa terra; ma egli non impone menomamente questa fede a nessuno, bensì la porta in sé, come un tesoro nascosto. – Questa é l’immagine dell’uomo perfetto, l’ideale del Massone. Né egli bramerà una perfezione maggiore di quella che l’uomo possa raggiungere, né vorrà vantarsene: la sua perfezione non può essere altro che umana, e l’umana. Ciascun uomo deve esser compreso del dovere di accostarsi sempre più sicuramente a questa mèta; se l’Ordine ha anche soltanto un poco di attività, ciascun membro deve essere preso da questo moto di accostamento in forma ognor più visibile e con piena coscienza; questa immagine deve ondeggiargli innanzi come ideale prefisso e ben prefisso e ben vicino al suo cuore: dev’essere parimenti la natura in cui egli vive e respira. È ben possibile che non tutti, anzi forse nessuno singolarmente di coloro, che si chiamano massoni, raggiungano questa perfezione. Ma chi ha mai misurato la bontà di un ideale, o anche solo di un’istituzione, da ciò che effettivamente ne conseguono gli individui? L’importante si é ciò che questi possono conseguire nelle condizioni stabilite; quanto poi l’istituzione vuole e addita con ogni mezzo a sua disposizione, questo i suoi membri debbono conseguire. Né io affermo che i massoni siano necessariamente migliori di altri uomini: tanto meno che non si possa conseguire la medesima perfezione anche fuori dell’Ordine. Ben sarebbe possibile che un uomo, non mai entrato a far parte dell’associazione dei Liberi Muratori, somigli all’immagine sopra delineata: e proprio in questi istanti ondeggia innanzi agli occhi della mia mente la figura di un uomo, nel quale io la trovo eccellentemente attuata, e che pure conosce l’Ordine tutt’al più di nome. Ma lo stesso uomo, se fosse diventato nell’Ordine, e per mezzo di questo, ciò che egli é diventato nella grande società umana, sarebbe meglio capace di innalzare anche altri allo stesso suo grado, e tutta la sua cultura sarebbe più socievole, più comunicabile e quindi anche nell’intimo suo essenzialmente modificata. Ciò che sorge nella società ha maggior vita e forza per la prassi che non quanto vien generato nella solitudine. Questi sono gli accenni che volevo dare intorno all’attività dell’associazione dei Liberi Muratori sopra i suoi membri. E essa, deve operare il felice avvicinamento all’ideale più sopra determinato, o nulla [deve] affatto; [perché] quanto sta più in alto di quello non può in generale essere attuato, e quanto sta più in basso, può dappertutto essere attuato. Ma si capisce da sé che i membri debbono essere sensibili al suo benefico influsso; e, del pari, che le istituzioni debbono essere di tal natura, che tanto il più quanto il meno sensibile si avvantaggi però e progredisca nella sua giusta proporzione. E ora si presenta ancora il problema, se questa associazione operi anche sul mondo. Quale azione esercita la cultura massonica sul mondo: influsso reciproco delle classi sociali Se questo problema si potesse pure con piena serietà presentare in forma di dubbio, ancora si potrebbe, effettivamente, domandare se l’Ordine agisca anche sul mondo, sulla maggiore società umana. Quest’uomo così educato nell’intima santità dell’Ordine, non rimane dunque come prima di fronte al mondo, e come prima occupa in esso il suo posto? Non resta, com’era prima, sposo, padre di famiglia, compagno, membro della condizione che egli riveste nel mondo? Può forse mancare che la sua cultura, ottenuta nell’Ordine, ma diventata ora intieramente sua propria, cosi da formare una parte costitutiva della sua personalità, a cui egli non può tanto arbitrariamente rinunciare, quando abbandona la loggia, – può forse mancare che questa cultura si manifesti in tutte queste relazioni [sociali]? E non agisce così l’Ordine, in forma sommamente benefica, sul mondo, mediante i suoi membri? Richiamo la vostra attenzione su qualche cosa che vi sosterrà nelle vostre proprie riflessioni. Nessuno occupa il suo posto nella più grande società in maniera meglio idonea di colui che può stender lo sguardo oltre il suo posto medesimo, che non vede soltanto questo, ma anche intuisce e contempla la sottile linea di separazione dove esso trapassa e penetra nella più grande società: come é il caso del grande e illustre scienziato, che volge lo sguardo non solo alla sua disciplina, ma anche a quelle confinanti, e anche a tutto quanto il campo del sapere. Soltanto colui che sta in tal modo nella sua posizione, agisce per il mondo con gli occhi aperti e con buona coscienza di sé: l’altro é un cieco strumento di lavoro; che forse opera affatto rettamente al suo posto, ma la cui attività soltanto per opera del tutto viene da ultimo indirizzata alla verace mèta. Il primo sa, a tempo opportuno, ora lasciar perdere parte delle esigenze e delle norme della sua condizione, ora attenervisi strettamente, e ora acuirle; quest’altro nulla intende del poi, ma procede, come una macchina, oggi e domani per il cammino a cui s’é fermamente abituato. Ora, é proprio la Massoneria quella che innalza tutti gli uomini sopra la loro condizione; essa educa quindi, in quanto educa degli uomini, anche i più abili membri della più grande società: dotti e sapienti amabili e popolari, uomini d’affari non soltanto capaci, ma anche forniti di giudizio, guerrieri umani, buoni padri di famiglia e savi educatori dei loro figliuoli. A qualsiasi relazione umana si voglia pure pensare, la Massoneria esercita su di essa il più vantaggioso influsso. La società umana deve inoltre essere occupata in un continuo progredire: tutte le sue relazioni devono diventare sempre più pure, e perfezionarsi sempre più. In particolare, uno stato ben governato progredisce nella legislazione, nell’amministrazione, nelle istituzioni educative, e tien sempre un orecchio aperto a tutte le obiezioni e correzioni. Uno stato siffatto, tutto occupato a procedere verso la perfezione, nulla può intraprendere con dei professionisti che non abbiano mai proteso lo sguardo oltre la ristretta sfera della loro particolare vocazione e che non potrebbero progredire se non sulla via fino a ieri battuta; essi diventano inutili tosto che vien fuori un miglioramento: e poiché non vogliono diventare inutili, si impuntano contro i miglioramenti, e impiegano tutto il proprio influsso per impedirli, oppure preparano ad essi, nonostante il loro buon volere di promuoverli, una cattiva riuscita. Dove é così disposta la maggioranza dei professionisti di uno stato, là si rimarrà in eterno all’antico. – È vero che già uno studio fondamentale delle scienze eleva sopra a questa angusta cerchia della routine professionale e delle contratte abitudini; la scienza mostra la reciproca dipendenza di tutte le relazioni umane e indica i punti, dai quali si deve muovere il passo più avanti. Ma la scienza esercita poi effettivamente questo influsso sul mondo? – Quando anche la maggioranza usasse studiare più a fondo che non faccia; quand’anche essa non fosse solita a dimenticare senz’altro, dopo alcuni anni, questa mezza cultura che porta via seco, in qualche modo, dalle università: quand’anche tutto ciò non fosse, a che giova il mero sapere, senza esercizio pratico? – Qui, dove nulla può ulteriormente giovare, ritorna ora a mezzo la Massoneria, come un istituto di esercizio pratico per la versatilità; e riempie una lacuna, che la grande società civile doveva necessariamente lasciar aperta. Vi rammento qui, di passaggio, lo stato in cui tutti noi viviamo, al quale non si può negare, senza somma ingiustizia, il vanto dello sforzo verso la perfezione. Non sentenzierò se questa tendenza proceda pure all’infuori della Massoneria, che in esso da lungo tempo é fiorita, ovvero se e come fin qui sia stata sostenuta dalla Massoneria stessa; ma posso recisamente affermare che questa tendenza deve trovar nell’Ordine un buon appoggio per l’avvenire. Ponderate inoltre la seguente osservazione. In un notevole scritto, in cui le condizioni sociali dell’uomo vengono divise in due classi, e alla prima classe sono ascritti coloro che si occupano della cultura intellettuale e morale degli altri, come pure di governarli [politicamente], alla seconda coloro che si curano delle esigenze della vita terrena, – in questo scritto é stato mostrato che il fondamento principale della passata deficienza di molte relazioni umani risiede nella difficoltà dell’azione reciproca e del mutuo influsso di entrambe queste classi, l’una sull’altra, e che non si può giungere a un miglioramento fondamentale, finché non sia interamente instaurato questo mutuo influsso. – Se ora considerate come un male, al par di me, questa mancanza di connessione e d’influsso, voi computerete anche l’Ordine Frammassonico in conto del miglior rimedio e del mezzo più adatto per un miglioramento fondamentale. Esso riunisce infatti in sé almeno entrambi gli estremi di queste due classi, e li avvicina di più l’uno all’altro, senza riguardo alla loro occupazione di grado e di professione. Perciò é imperiosamente necessario che in una loggia (come, del resto, per solito accade) stiano a fianco non solo persone colte, ma anche uomini in dotti, e non solo indotti, ma anche dotti: e che nessuno guardi l’altro di traverso per il fatto che egli é tale, e quello non é. – Un membro della seconda classe, che impara qui a deporre la sua diffidenza, la sua ombrosità, il suo timore, il suo odio o il suo disprezzo almeno verso i membri della prima classe, che sono suoi Fratelli nell’Ordine; un membro della prima classe, che apprende qui a scacciare il suo dispregio, almeno per i membri della seconda classe, che sono suoi confratelli, – porterà seco certamente questa disposizione sentimentale anche fuor della loggia, nel mondo, estenderà la sua migliorata concezione di queste classi anche ad altri membri di esse che non sono Fratelli dell’Ordine, e comunicherà tal concezione migliore ad altri non iniziati della sua propria classe. Un retto cittadino, che in qualche modo dentro all’Ordine si convincesse, che un dotto non é necessariamente un pedante, anche fuori dell’Ordine non farà più questa supposizione in modo così incondizionato, e certo comunicherà, occasionalmente, anche ad altri onesti cittadini, che non siano «Fratelli», la sua scoperta. Un dotto, che in qualche modo avesse appreso nell’Ordine che un impiegato o un cittadino senza studi non é punto un uomo ignorante e corto di mente, col quale non si possa parlare di nessun argomento razionale o dal quale nulla si possa imparare, tratterà con riguardo tali persone anche fuori dell’Ordine e diffonderà questa sua scoperta in conversazioni e scritti. – E così l’Ordine massonico sarebbe una delle più importanti istituzioni in pro del mondo, quale, senza di lui, vi manca interamente. Ma da ultimo – il che per altro io posso soltanto accennare a rapidi tratti – L’Ordine potrebbe appunto operare proprio per lo stato, per la Chiesa, per il pubblico colto, ed essere utilizzato da tutte queste realtà sociali, per preparare a poco a poco quei miglioramenti, per i quali si facesse prevedere l’opposizione della unilateralità. Avete ora dati sufficienti sulla idoneità, utilità, anzi indispensabilità dell’Ordine Frammassonico nella grande società civile e umana. Che cosa esso possa operare, vi é chiaro per naturali ed esatte conseguenze [tratte] dal presupposto del suo scopo; la sua attività deve seguire dal fatto ch’esso ha per iscopo di far acquistare ai suoi membri, in tal colleganza, una cultura universale, puramente umana, in opposizione alla cultura particolare di classe; ma questo scopo razionale é superiore a ogni biasimo é poi tanto certo ch’esso lo abbia, quanto é vero che si occupano assiduamente di lui uomini seri, saggi e virtuosi. Lo scopo finale dell’esistenza umana: i problemi di questa vita alla luce dell’eternità. i tre punti principali di questo problema: Chiesa, stato, dominio sulla natura Noi vogliamo ora lavorare affinché i principi fin qui posti siano sufficienti, nella loro applicazione, alla valutazione di cose massoniche, e quindi alla valutazione della presente condizione della Massoneria, in generale, o alla valutazione del rituale, delle leggi e degli organismi massonici in particolare, della condotta massonica di singole logge e Fratelli, e infine anche, nel caso che si trovasse necessaria una riforma, a giudicare dove e come propriamente si dovesse riformare. Ma ora, affinché questi principi appaiano realmente sufficienti a tale scopo, essi debbono essere ancor più compiutamente distinti l’uno dall’altro e venir applicati ancor più diffusamente. Per questo fine però dobbiamo nuovamente risalire ai primi principi e accordarci intorno ad essi. Primo principio. lo scopo finale dell’esistenza umana non é posto, in generale, in questo mondo presente. Questa prima vita è soltanto preparazione e semente di una più alta esistenza, di cui sentiamo intimamente la certezza, nonostante che nulla possiamo pensare sulla costituzione e specie e maniera di essa. Secondo principio. Gli scopi che ci sono proposti per la vita presente, nonché questa medesima vita presente, conservano per noi valore e significato solo perché i primi ci vengono comandati, e perché soltanto nell’ultima questi scopi possono venir attuati. Tutta la nostra possibile attività si presenta a noi, e può a noi presentarsi, solamente come esigenza di quei supremi scopi della vita presente. Non abbiamo pertanto da fare, in via prossima e immediata, se non con la vita presente: il suo fine prefisso é l’unico concepibile, e dev’essere perseguito con chiara coscienza dall’uomo savio e buono. Vogliamo [ora] ridurlo ai seguenti tre punti principali, e così descriverlo e distinguerne le parti più precisamente. In primo luogo: tutta quanta l’umanità deve formare un’unica comunità puramente morale e religiosa. Questo é lo scopo della Chiesa, s’intende della Chiesa nella forma ideale, che come Chiesa visibile si trova ancora qua e là. A questo scopo si riferisce ogni educazione dello spirito con valore di mezzo. In secondo luogo: tutta quanta l’umanità deve formare un unico stato interamente giuridico; il mutuo rapporto dei singoli uomini negli stati, il rapporto reciproco di questi stati sulla terra, deve essere ordinato, da capo a fondo, secondo l’eterna legge di giustizia della ragione; questo é lo scopo di ogni legislazione nei singoli stati e di tutte le alleanze e trattati dei popoli fra loro. – A ciò si riferisce buona parte delle scienze, quando non si consideri alla leggera [soltanto] la cultura spirituale da conseguirsi per mezzo loro (come, per altro rispetto, ci accadde di fare più sopra), ma il loro effettivo contenuto, come il mezzo per lo scopo. In terzo luogo, infine: l’essere razionale deve interamente dominare la natura priva di ragione, e il morto meccanismo essere sottoposto al comando di una volontà. Lo scopo che solo, in qualche modo, un essere ragionevole dietro l’impulso della sua natura, si può prefiggere, deve essere attuabile fuori di lui nella natura senza vita, e la natura conformarsi alla volontà razionale. – A ciò é mezzo parte meccanica, e buona parte delle scienze, giusta il loro contenuto. – Applichiamo ora queste idee fondamentali più strettamente al nostro proposito. Qual’è l’oggetto della cultura massonica? Procedendo dall’educazione dell’intelletto, essa é ISTRUZIONE Il perseguimento di questi scopi, o meglio, di quest’unico fine totale dell’umanità é poi diviso nella maggiore società umana fra parecchie singole classi, in modo che i membri di queste si educano esclusivamente, o almeno in grado eminente, soltanto per la loro classe e, più tardi, mediante la loro classe. Voi vedete, com’é conseguenza necessaria di questo indirizzo che i membri di una classe ricevano di regola solo una parte della cultura umana, ma in nessun modo [questa cultura] nella sua integrità, e che una maggiore o minore unilateralità di spirito e di cultura costituisca il distacco dei singoli. Secondo questo necessario indirizzo e sotto queste circostanze difficilmente si potrà trovare da qualunque parte un uomo intero e perfetto: bisognerebbe comporselo riunendo più persone di condizioni diverse e opposte: a gran stento si potrebbe trovarlo in una singola persona, nel vasto campo dell’universa società umana e delle sue consuete istituzioni di cultura. Ora importa di trarre a un sol centro questa unilaterale cultura di classe e mescolarla a una cultura universale e puramente umana; nello stesso tempo (per attenermi all’immagine teste introdotta) realizzare effettivamente la suddetta composizione di un uomo intero e perfetto fuor da parecchie persone, ciascuna delle quali ha qualche altra cosa, che pure appartiene a un uomo intero, e ciò non soltanto nel pensiero, ma in modo che, per un’accorta mescolanza, ciascun individuo per sé sia di fatto, in quanto é possibile, quell’uomo intero e perfetto. Questo problema non é mai risolto nella grande società: ma io mostrai, essere l’unico scopo possibile e ammesso di una minor società, sorta per segregazione dalla società maggiore, e composta di tutti i ceti e di tutte le popolazioni civili: la quale si chiama, appunto, Frammassoneria. Di qui ricaviamo inoltre l’importante e affatto luminosa conseguenza, che ogni oggetto della cultura umana il quale possa venir conseguito nella vita sociale ma in altra maniera che nella maggiore società, é ad un tempo oggetto della cultura massonica, – e che é bene ed é necessario, che il Massone si sia appropriata la maggior parte possibile della cultura, sia con le scienze, o con l’arte, o con le occupazioni e l’esperienza. Sennonché ogni unilateralità, ossia ciò che nella maggiore società, per la separazione di un ramo della cultura del suo complesso totale, tocca a questo singolo ramo e ne dipende: e inoltre ogni accidentalità, che si sia radicata in un aspetto di questa cultura per condizioni [speciali di tempo e di luogo, – tutto questo viene nella Massoneria staccato dal resto, e nella fusione [delle colture] rimane indietro quai caput mortuum. Così la cultura religiosa, tanto per dare un esempio, é senza dubbio parte dell’educazione massonica; ma la religione del Massone e qualche cosa di affatto diverso da quella di una Chiesa comunque costituita, o pur anco di una setta particolare, o infine dei deisti e « illuminatori » della bibbia, che superficialmente filosofeggiano o interpretano disonestamente. Ma prima che facciamo ora un passo più in là, debbo premettere la trattazione di un importante verità, e contraddire a un comune pregiudizio, la cui sussistenza nell’animo vostro turberebbe potentemente l’impressione di ciò che ancora ho da dire. E se questa verità dovesse sembrarvi non pertinente a questo punto e conforme [piuttosto] alla serie dell’altre finora proposte: attendete solo alla susseguente proposizione, e troverete con quanta esattezza essa la prepara e introduce. Espongo in chiari termini il mio principio: ogni forma volontaria di educazione nella società procede dalla cultura dell’intelletto. É vero che (così io affronto fin dall’inizio la possibile obiezione) esso non é, di gran lunga, sufficiente a conoscere la verità: bisogna avere anche la potente volontà di obbedirla; e questa decisione volitiva non scaturisce a nessun costo dalla mera conoscenza, né alcuno può dimostrarne a sé o ad altri la necessità per mezzo di principi: essa é qualche cosa di affatto diverso, di indipendente dalla semplice perspicacia, e non vi é alcuna conseguenza nell’espressione egli deve scorgere questo, e dunque deve anche volerlo. Ma la stessa migliore volontà, se una [volontà] siffatta fosse possibile dentro a un grande oscuramento dell’intelletto, non sarebbe di alcuna utilità né di valore alcuno, qualora non si potesse altresì concepire ciò che poi si dovesse volere con la propria volontà. Coloro adunque che al non desiderato maestro, recante loro dell’istruzione, gridano: « niente scienza! ciò riguarda la scuola; agire, agire – questo é quel che importa! » – senza dubbio non sanno, a giudicarli con la massima indulgenza, quello che si dicono. Agire, é certamente ciò che conta, la perfezione della cosa! ma come volete mai agire, senza indagare ampiamente, e conoscere, che cosa fate? Volete operare ciecamente, come l’animale? – Questo non é veramente il punto! – chi dicesse così e respingesse da sé ogni conoscere per amor del fare, mi parrebbe simile a un cieco, che al medico, il quale promette di restituirgli la vista, gridi ribelle: « Che mi giova poi il semplice vedere, questo sguardo, che soltanto mi potresti dare! la mia conoscenza non acquista con esso alcun vantaggio. Volgere gli occhi a un oggetto, posarveli sopra, contemplarlo e penetrarlo e considerarlo persistentemente, – questo importa, qui sta il punto! » – Pazzo! nessuno nega che il punto stia qui. Getterai dunque l’occhio tuo riaperto, torbido e opaco sugli oggetti, come un torello, e lascerai ondeggiare innanzi ad esso le figure in mutuo riflusso? Certamente, in questo modo, con il tuo sguardo non guarderai nulla. Ma tu aspetti invano questo indirizzarsi e affiggersi e soffermarsi del tuo sguardo da un qualche medico, o da un collirio qualsiasi: da te medesimo, dalla tua propria forza l’hai a trarre. Bensì nessuno sguardo puoi volgere e affiggere, se tu prima non hai uno sguardo, che io ti darò facilmente. Sarà poi affar tuo il retto uso di esso. Vedete che il volere non é per il conoscere, ma il conoscere per il volere. Che cosa si deve dire, pertanto, a coloro che, quando osservano come taluno soprattutto lavori in pro della conoscenza chiara e distinta, gli gridano: Ma l’uomo non é già puro e semplice intelletto! – Certo che non é soltanto questo; egli é per sé stesso, – per sé stesso, dico – anche volere; ma nessuno può influire immediatamente sul volere dell’altro, nemmeno anzi insinuargli una volontà, o eccitare e commuovere il suo volere. Questo scaturisce sempre e soltanto da un’intima fonte, non mai dall’esterno. Conosco, per mio proprio conto, solo due maniere di influsso sopra gli uomini. La prima, e di gran lunga la più importante, avviene per mezzo dell’insegnamento. Ma sapere non é ancora agire: a questo deve ciascuno decidersi da sé medesimo. Per sospingerlo anche a ciò, nulla ci resta che (secondo mezzo) il buon esempio, mediante il quale gli si mostra in parte l’attuabilità della prescrizione, e in parte la amabilità dell’esecuzione. Per mio proprio conto, ripeto, non conosco se non queste due maniere. Pure rammento che voi ne conosciate e difendiate anche una terza: volete migliorare l’uomo servendovi ancora della commozione e del turbamento, di quel che voi chiamate cuore: opinione a cui sono inclini tutti i pubblici oratori. Ma credetemi! di quanto é certo che solo il durevole miglioramento della volontà merita di esser chiamato miglioramento, di tanto é sicuro che nulla devesi. Perseguire col mezzo suddetto, anzi che il suo frequente uso é proprio dannoso. Commovendo un individuo e facendogli versare un fiotto di lagrime, o trascinandolo via in sublimi sentimenti, si può benissimo, sì, condurlo a un’effimera buona azione, trattenerlo da un misfatto: ma quando é passato il rapimento dello spirito, egli è nuovamente lo stesso uomo di prima, e non abbiamo ottenuto nessun altro vantaggio che l’azione esteriore, di cui non ci deve importare mai nulla, se miriamo al vero scopo. Ma ben può accadere assai facilmente che ciascuno, il quale spesso pianga e di leggeri, si creda per questo un uomo buono, e tralasci quello sforzo e travaglio personale, che solo lo avrebbe, potuto salvare. Così adunque l’istruzione é anche nella Massoneria, come in ogni istituzione di cultura, la cosa più essenziale. Secondo questi presupposti io proseguirò tosto a indicare i rapporti che passano tra gli oggetti della cultura massonica già indicati e l’istruzione, – e risponderò a questa domanda: se le cose stanno come ho esposto più sopra, qual é, in conseguenza di ciò, l’oggetto dell’istruzione massonica, e come e perché, per quali caratteri essenziali, questa istruzione diventa massonica? Lo scopo ecclesiastico come oggetto dell’istruzione massonica: la concezione universalmente umana della religione Come scopo complessivo dell’umanità io vi affermai che essa deve formare un’unica Chiesa puramente morale, uno stato interamente politico, e sottomettere la natura priva di ragione al comando di una volontà. Mi fermo per ora alla prima parte di questo fine, all’educazione alla pura eticità e alla religiosità, e comincio con una tesi affatto divergente dalla solita, che cioè non vi é alcuna educazione e cultura massonica alla moralità. Inoltre, non vi é in generale da nessuna parte una tale educazione, né può esservene alcuna; ed é senza dubbio uno dei tratti caratteristici più nocivi della nostra epoca, che ancora si abbia questa credenza, in quanto così si dimostra apertamente che ancora non si conosce punto la vera eticità, e la si scambia con quella medesima capacità pratica, osservanza alle leggi e simili, per cui certamente vi é un’educazione. L’eticità (si parla spesso di pura eticità, mentre si dovrebbe dire senz’altro eticità, perché non vi é una eticità impura, e ciò che é impuro, é appunto per questo anche nonetico), l’eticità pertanto consiste nel compiere il proprio dovere chiaramente conosciuto con assoluta libertà interiore, senza alcun impulso esterno, esclusivamente perché esso è dovere. Questa decisione l’uomo può attingerla soltanto da sé medesimo, non può apprenderla né sentirsela dimostrare, tanto meno esservi indotto dalla preghiera, dal pianto o da costrizione di sorta. Questa eticità che risiede nell’interno dell’uomo, é in generale soltanto una, quella buona volontà di cui testé dicemmo; qualche cosa di positivo, che non é capace di accrescimento né diminuzione, non di scambio né di mutamento per via delle circostanze; non può quindi esservi, come talora si opina, nessuna particolare eticità massonica. – L’unica vera eticità é quella a cui pensavo quando vi dissi che vi sono oggetti, i quali, non essendo assolutamente oggetti della cultura sociale, nemmeno potevano essere oggetto della cultura massonica: intorno ad essi si può venir a discutere solo con sé stessi e con Dio, ma in nessun modo con chiunque altri: e nei loro rispetti la Massoneria sarebbe anzi una profanazione. – Certamente vi sono speciali doveri che la Massoneria impone ai suoi membri, e che questi non avrebbero se non fossero membri di questa società; ma se questi stessi doveri si osservino per puro amor del dovere, o per altri moventi, é questione che risolve per conto suo l’uomo, e non il Massone. Sebbene non vi sia dunque alcuna particolare eticità massonica, vi é però una semplice religione massonica, o – per evitare ogni malinteso, – una special concezione massonica della religione, e appunto per questo anche un’educazione massonica alla religione: si capisce alla religione morale, non chiesastica, con la quale la Massoneria non ha assolutamente nulla a che fare. Consideriamo ciò più da vicino. la Massoneria, giusta la sua missione da noi indicata, deve eliminare da ciascun singolo ramo della cultura umana la parte accidentale, di cui é stato ricinto da condizioni di tempo e di luogo, nonché l’unilateralità e l’esagerazione, che dovette sorgere per il distacco di questo singolo ramo dal ceppo complessivo della cultura, – e porre tutto l’umano nella sua purezza, secondo la sua connessione in seno al tutto. Questo é per noi il suo carattere, ch’essa deve confermare anche nel caso proposto. Ora, la cultura religiosa ha senza dubbio assorbito nella maggiore società una folla di elementi accidentali e unilaterali, e se é mai necessario che siano nuovamente soppressi gl’influssi di questa forma di cultura, ciò deve avvenire lungo la via massonica. – Le idee religiose dei popoli si sono, né può invero essere altrimenti, conformate ai loro costumi e usanze, alle loro visioni della vita umana, alle loro scienze ed arti; sulle quali hanno tutte quante lo stesso diritto, tanto l’una che l’altra. Senza dubbio la divinità é apparsa loro, in complesso, e fra loro si é potentemente rivelata: all’ebreo nella sua miracolosa salvazione dalla schiavitù d’Egitto, al romano nella fondazione del suo Campidoglio eterno, agli arabi, quando, d’in mezzo a loro, un uomo riunì le orde disperse, e chiamò alla vita uno smisurato impero, quasi dal nulla. – Sennonché, quand’essi combattono fra loro, e l’uno rinnega la storia dell’altro, e gli vuol imporre la propria, come se fosse l’unica: allora cominciano ad aver torto. Ogni uomo che nasca nella società, nascerà necessariamente in una determinata parte di essa, dentro l’ambito di una qualche nazione; e riceve, in una con le rimanenti fatture della nazione, anche questa forma esteriore e nazionale della religiosità. I teologi di tutte le nazioni si son sempre affaticati per elevare lo spirito della loro classe a un livello universalmente umano: e vi sono riusciti anche troppo. Questa forma affatto accidentale, che non é puramente umana, ma un contrassegno di umanità, l’uomo perfettamente evoluto deve deporla: egli non dev’essere né un giudeo, né un amico incirconciso del giudaismo; né un romano o un arabo, che ha lì la sua religione [bella e fatta]: ma diventare, assolutamente, un uomo, che pure ha la sua religione. L’idea religiosa nella maggiore società, per il fatto che essa é divisa dalla rimanente cultura umana e che dovette venir affidata a una particolare associazione, alla Chiesa visibile, ha conservato una indisconoscibile unilateralità. Per l’uomo che nulla ha da fare, e niente altro deve fare, se non convertire altri alla religione, la religione, quella cioè che egli deve procurare altrui, é assolutamente fine, e unico fine della sua vita. Egli la riconosce per tale, e ne ha pieno diritto. Privo del puro sentimento umano, egli viene facilmente indotto al tentativo, di voler rendere ogni cosa a sé intorno eguale a lui medesimo, e far diventare a tutti la religione – il che qui non si riferisce più, per lui, a quelli, che la procurano ad altri, ma piuttosto a quelli, che la debbono avere per conto proprio, – [far diventare, dunque] questa religione fine e compito unico della vita. E viene facilmente indotto ad ammonire coloro che gli sono affidati, a mettersi una buona volta in regola, a diventare veramente pii, e a mirare senza pregiudizi verso l’eterno. Gli si crederà, lo si ubbidirà e – la sentenza più indulgente ch’io possa dare – si acquisterà uno spirito religioso assai unilaterale. Non così [procede] il vero Massone: al quale questa lotta per una divina beatitudine per sé stante appare del tutto simile agli sforzi di un uomo, che aspiri a nuotare, e a nuotare elegantemente, senza entrare nell’acqua. Egli non conosce alcuna aspirazione all’eterno, fuorché il coscienzioso perseguimento del temporaneo, per puro amore del dovere; non gli vien desiderio di volger la mira alla gemma celeste, ch’ei non può, scorgere; ma solo mira allo scopo terreno prefissogli, nella salda fiducia che dietro vi sia nascosto il bene celeste, e che questo verrà a lui senza sua ulteriore fatica, perché egli abbia raggiunto il terreno. Per lui la religiosità non é già nulla di isolato e per sé stante, cosicché si potrebbe essere ben forte in fatto di pietà, ma nel rimanente debolissimo e assai arretrato, e anzi uomo cattivo. Egli non é religioso, ma pensa e agisce religiosamente; la religione é per lui, non un oggetto, ma solo l’etere di cui gli appaiono circonfusi tutti gli oggetti. Egli rivolge interamente tutta la sua forza ad ogni opera che quaggiù gli si presenti, e l’osservatore potrebbe pensare, che per lui non ci sia da occuparsi d’altro che del conseguimento di questo scopo; e che questo esaurisca pienamente tutto il suo essere e tutte le sue fatiche. Ma di fatto egli non si preoccupa punto della mera esistenza di questo scopo: il quale non ha ai suoi occhi il minimo valore per sé e mediante sé in grazia di sé medesimo. Soltanto per l’eterno, a lui invisibile e inafferrabile, che é celato dietro a questa scorza dell’elemento terreno, egli si affatica; e solo a causa di questo bene riposto ha per lui un significato quello che l’osservatore vede. Il suo intimo senso é sempre nell’eternità, le sue forze sono sempre tra voi. Ma non gli é concesso di vivere solo con questo senso nel cielo, sull’ali dell’immaginazione, e lasciare frattanto riposare le forze sulla terra: poiché non si dà senso alcuno, senza forza attiva, che porga alcunché da sentire. La classe particolare, a cui é affidata l’educazione religiosa della maggiore società La classe particolare, a cui é affidata l’educazione religiosa della maggiore società, e che non vede, né può vedere, altra efficacia del suo ufficio da questa infuori, perché essa di fatto, quand’anche procede al vero scopo, deve rimanere invisibile, può facilmente essere indotta a cercar di considerare l’utilità, e procurare al suo ufficio un’efficacia visibile e comprensibile, alla sua attività un influsso sociale e civile. Chi, fra questi membri della classe, la pensa in tal modo, ricorre poi al consueto espediente, di voler trarre gli uomini alla moralità con il timore delle pene oltremondane e con la speranza di un’eterna ricompensa, e chiamar ciò religione. infelice! egli non sa, che quanto egli ottiene per mezzo del timore e della brama di compenso, non è assolutamente moralità, ma solo esteriore onoratezza e ossequio alle leggi, e che egli, per quel che sta nelle sue forze, contribuisce a uccidere per sempre coloro, sui quali esercita l’opera sua, tanto nei riguardi della moralità che della religione. Non così [procede] il Massone: il quale sa che nella maggiore società, là dove non v’é eticità alcuna, bisogna che si ottenga per lo meno l’esteriore osservanza alle leggi, – e sa come sia un pretesto falso, anzi sommamente pericoloso, il ritenere questa osservanza delle leggi una preparazione alla moralità, mentre essa dovrebbe sussistere, e venir conservata nella sua integrità con ogni sforzo, affinché la società umana possa durare intatta. Ma egli non si dedicò mai a questo scopo, perché sa altresì, che lo stato ha già istituito a tal fine prigioni e case di disciplina e altre note istituzioni; ed é ben lontano dal desiderare, che la cosa più santa che abbia l’uomo, la religione, sia avvilita fino a sostituire volontariamente gli sbirri mancanti. Per quel che concerne il Massone stesso e la società massonica, si capisce da sé che chi ancora abbisogna di essere disciplinato con il premio e la pena per conservarsi uomo onorato, non può appartenere a questa società, in quanto, lontanissimo com’é dall’aspirare a un miglioramento dell’educazione da lui ricevuta per la società, manca di questa stessa cultura: sicché non e’é da far conto sopra un tale individuo nelle intraprese massoniche. Il Massone deve fare il bene ed evitare la colpa per sentimento del dovere, o almeno almeno per sentimento dell’onore, quand’anche (sebbene ciò non sia possibile) egli non avesse la benché minima nozione, o credenza, di Dio e della religione: e questo non come Massone, ma come uomo, che sia anche soltanto capace della Massoneria come noi l’intendiamo. – Pertanto il Massone non può voler considerare né usare la religione come stimolo alla virtù; non fosse che per l’unico motivo già enunciato, perché essa [cioè] non può essere tale, in quanto è contrario alla virtù tutto quel che si fonda sopra uno stimolo esterno. Senza nocumento potrebbe tuttavia la religione essere usata per tranquillare lo spirito e il cuore, per calmarli con lo spettacolo dell’evidente contrasto fra la legge del dovere e il corso del mondo. Ma anche a tal uopo essa non verrà usata dal Massone perfetto, in quanto egli non ha bisogno di tale conforto. Certamente ciascuno é tratto a bella prima verso la religione dalla contemplazione di quel contrasto. Dal mio intimo mi é posto un fine, quell’ultimo fine terreno dell’umanità, e mi son date azioni, fatiche, sacrifici da compiere per questo fine. Non posso rifiutarmi di ascoltare questa voce [che parla] nel mio cuore. Ma quando osservo lo svolgersi delle circostanze e dei destini del mondo, ogni mio lavoro per questo fine mi pare perduto, anzi sembra talora essergli d’impedimento. Pare che tutto venga guidato, bene o male che sia, da una cieca forza invisibile, senza riguardo di sorta per il mio lavoro, come appunto accade. – Questa considerazione, costante! che tosto si impone all’uomo coscienzioso, ma freddo osservatore, é quella che conduce l’uomo alla religione, e gli presenta, in luogo del fine terreno, del quale egli dispera nonostante che non cessi di lavorare per esso, un fine invisibile, eterno. É forse pertanto il bisogno che lo conduce alla religione; ma l’uomo perfettamente evoluto, quale io voglio pensare, una buona volta, il Massone, non si ferma a questo punto: ora che egli ha la religione, che essa é divenuta parte costitutiva di lui medesimo, egli non ne sente più il bisogno, appunto perché la possiede. La legge del dovere e il corso del mondo non si contraddicono più, perché egli conosce un mondo più alto, di cui questo porge soltanto quella parvenza che lo travaglia. Il dubbio, che lo spinse alla fede, é ora per lui risolto per sempre. Il che fa sì che ora la sua religione acquisti appunto il carattere, che per essa ho più sopra indicato, di essere cioè per lui non più oggetto del suo operare, ma, per cosi esprimermi, organo e strumento di ogni sua attività. Essa non é per lui alcunché, ch’egli ancora si foggi per trarne a sé ricordo e ammonimento, ma ciò per cui mezzo egli fa, inconsapevolmente, ogni altra cosa. Essa è l’occhio della sua vita, che egli, quando é lasciato a sé stesso, e quello non gli viene riflesso da uno specchio di artificiosa riflessione, non vede, ma col quale vede tutto il resto di ciò che gli viene alla vista. E ora credo di aver esaurito tutto ciò che riguarda, dal punto di vista massonico, la prima parte del fine complessivo di tutta l’umanità. Mi son fermato a parlarne molto ampiamente, perché ciò serve di chiarimento a quanto segue, e perché volevo darvi, a proposito di questa parte importante, un compiuto esempio della dottrina e concezione massonica. Lo scopo politico nell’istruzione massonica: Amor di patria e sentimento cosmopolita Il secondo punto fondamentale del fine complessivo dell’umanità si riferisce alla produzione di un ordinamento puramente giuridico fra gli uomini, [ossia] dei cittadini in uno stato e degli stati fra loro, affinché intera umanità formi alfine un unico Stato, retto e ordinato secondo le eterne leggi di giustizia della ragione. Ora importa soltanto determinare la sentimentalità e il modo di pensare del genuino massone, mediante i quali egli coopera alla produzione di questo fine principale dell’umanità. Ciò posso fare in breve e con precisione nella forma seguente: il rapporto che passa ai suoi occhi tra il fine terreno e quello eterno, è per lui, identicamente, il rapporto del fine presente e prossimo dello stato, in cui egli vive, al fine terreno dell’umanità intera. – Come ogni cosa terrena per lui significa soltanto l’eterno, e solo per questo eterno, di cui egli riconosce in essa la spoglia mortale, ha valore ai suoi occhi: così per lui tutte le leggi e ordinamenti del suo Stato e tutte le circostanze del suo tempo significano solo l’intero genere umano, e soltanto all’intero genere umano si riferiscono, e unicamente per questo rispetto hanno valore e significato. Ma pure non credere che per tal modo l’uomo perfettamente colto sia sottratto al suo Stato e votato a un pigro e freddo cosmopolitismo: all’opposto, egli diventa in forza di questo sentimento il più perfetto e il più utile cittadino dello Stato. – Allo stesso modo cioè, che egli, nei riguardi della religione, nonostante che il suo sentire sia tutto immerso nell’eternità, tuttavia la sua forza é tutta quanta consacrata alle cose terrene: in questo modo nei riguardi della legalità l’intera sua forza é votata al suo Stato, alla sua città, al suo impiego, a quel determinato lembo di terra dove ora appunto egli vive, nonostante che il suo sentire si estenda al tutto. Nell’animo suo amor di patria e sentimento cosmopolita sono intimamente congiunti, anzi stanno entrambi in [questo] preciso rapporto: l’amor di patria è in lui l’azione, il sentimento cosmopolita è il pensiero; il primo è il fenomeno, il secondo è l’interno spirito di questo fenomeno, l’invisibile nel visibile. Poiché allo stesso modo che una religione, la qual voglia sussistere per sé stessa, é nulla e vana, e perfino ridicola: così un cosmopolitismo, che voglia sussistere per sé medesimo ed escluda il patriottismo, é vano, nullo e pazzesco. « Il singolo é niente, dice questo cosmopolita; io penso, mi preoccupo e vivo soltanto per il tutto; questo deve migliorare, su questo si debbono stendere ordine e pace ». bene: ma ditemi ora, come pensate di accostarvi a questo tutto con i benefici sentimenti, che assicurate di nutrire a suo riguardo, posto che volete beneficarlo così in generale e tutto in blocco? É dunque il tutto alcunché di diverso dalle singole parti, congiunte nel pensiero! può dunque, in certo modo, esservi un miglioramento nel tutto, se non comincia a esservi un miglioramento in una qualche singola parte? Ma allora prima diventate voi stessi migliori, e poi cercate di render migliori anche i vostri due vicini, a destra e a sinistra; dopo di che io penso che il tutto é certamente divenuto migliore, perché ha uno o due o tre individui che sono in esso migliorati. Questo é riconosciuto dal Massone; e perciò il suo cosmopolitismo si manifesta per mezzo della più potente attività in prò di quel determinato punto, sul quale egli sta. – Comunque poi possano essere costituite le leggi civili alle quali egli é sottoposto, e per quanto profondamente egli possa scorgere la loro manchevolezza, – Pure ubbidisce loro come se fossero espressioni della pura ragione: poiché sa che leggi e costituzione, anche manchevoli, sono pure meglio che niente, e che le leggi difettose sono di preparazione ad altre migliori; [infine] che nessun singolo può mutare o sopprimere in esse alcunché, senza il consenso di tutti, ma che poi con la sola tacita disubbidienza nessuno, assolutamente, le può toglier di mezzo. Solo quando le imposizioni che gli fa il suo stato sono esattamente e indiscutibilmente contrarie a giustizia, allora si capisce senz’altro, che egli non si assume di eseguirle, anche se dovesse per questo andare in rovina: e ciò anzi nemmeno come Massone, ma come semplice uomo di retto carattere. A parte quést’unico caso, qualunque siano gli obblighi e gli scopi di uno stato, e per quanto essi possano essere arretrati in confronto di ciò che, come di gran lunga migliore, dovrebbe accadere secondo la sua opinione: egli [tuttavia] li eseguisce, con tale cura e tal dispendio di forze, come se non avesse altro da fare; perché si trova ormai a non aver nulla da ordinare, ma solo da eseguire, e sa che nello svolgersi del tutto é fatto conto anche sulla sua obbedienza. Salvo che egli é in ciò diverso da coloro che obbediscono per timore o guadagno o consuetudine, in quanto fa ogni cosa volonterosamente per il bene dell’universo e per amore di questo. Il LAVORO nella concezione massonica Per quel che concerne la terza parte del fine complessivo dell’umanità, a quella [cioè], che la natura priva di ragione venga interamente sottoposta al volere razionale, e l’essere razionale domini sul morto meccanismo, – appartiene essenzialmente al suo modo di pensare, che egli sappia questo, che egli riconosca in ciò lo scopo dell’umanità, e che egli pertanto consideri e valorizzi ogni attività umana, per minima che sia, da questo lato. La familiarità con questo fine, e il rispetto per esso, gli serve ad apprezzare gli uomini non secondo il grande o piccolo posto che essi occupano, ma secondo la fedeltà con cui lo amministrano. Il più basso lavoro meccanico, considerato da questo punto di vista, é pari alla più alta attività spirituale: poiché tanto quella che questa estendono il dominio della ragione e ampliano l’impero da lei conquistato. un contadino o un operaio che, in grazia del suo dovere e per amor del tutto, esercita l’opera sua con vero attaccamento e attenzione, e la porta a compimento, agli occhi della ragione ottiene un posto più alto dei dotti incapaci e degli inetti filosofi. Chi si impadronisce di questo concetto, non solo valuterà con giustizia il mondo e le sue relazioni, ma anche innalzerà il proprio valore mediante il sublime punto d’appoggio che ha acquistato. Far sorgere, consolidare, vivificare questa maniera di pensare é il punto a cui deve sboccare tutta l’istruzione che io chiamo massonica. Ora voi potrete considerare come dovrebbe essere impartita questa istruzione, e del pari, come nulla potrebbe venir acquisito senza istruzione. Le istituzioni segrete di cultura son certo altrettanto antiche quanto la divisione delle classi Diamo in poche parole uno sguardo a tutta la strada lasciataci indietro. La Frammassoneria é, secondo le nostre ricerche, una Istituzione destinata a cancellare l’unilateralità della cultura ricevuta dall’uomo nella maggiore società e ad elevare questa [cultura] fatta a mezzo a [cultura] universale e puramente umana. Ci siamo domandati: quali sono le parti e gli oggetti della cultura umana, che si devono ricevere in questa associazione? E abbiamo risposto: la cultura alla religione, come cittadino di un mondo invisibile, la cultura per lo stato, come cittadino di una data parte del mondo visibile, infine [l’educazione] per la capacità e l’abilità di dominare la natura priva di ragione, quali esseri razionali. E ancora abbiam chiesto: quali sono i mezzi dell’associazione, per comunicare questa cultura ai suoi membri? E rispondemmo: l’insegnamento e l’esempio. Rimaneva ormai da rispondere ancora alla domanda: che cosa può essere propriamente lo scopo finale dell’istruzione massonica e del massonico esempio? E si é risposto: nella religione, l’eliminazione d’ogni elemento accidentale introdotto dalle condizioni di tempo e di luogo nell’idea religiosa della società, si che la religione é unilateralmente concepita o come unico fine separato di tutto il nostro operare, o qual mezzo per un qualche fine sensibile. Rispetto alla cultura per la legge e il diritto: intima congiunzione tra il sentimento cosmopolita e la coscienza di cittadino d’uno stato, nella quale il Massone osserva con la più scrupolosa esattezza le leggi del suo paese e la imposizione delle autorità a lui superiori, ma non come se esistesse soltanto il suo paese (patriottismo devastatore dei romani, etc.), ma perché esso é una parte dell’intera umanità. Infine rispetto allo scopo, di sottomettere la natura alla ragione, la familiarità con questo scopo gli giova, in parte a svegliare in lui la fedeltà al suo ufficio e fargli proprio un punto di vista superiore per le sue attività apparentemente subordinate, in parte a mettergli in mano la vera misura per la valutazione dei fedeli realizzatori degli scopi dell’umanità, qualunque sia il posto dov’essi si trovano. – A questa méta deve mirare l’istruzione massonica per produrre quelle convinzioni, che conducono a tal modo di pensare. Su che cosa si fondi l’esempio massonico in quanto tale; come divenga manifesta presso i membri dell’associazione una maniera di agire in cui non si può disconoscere la plurilateralità del loro sentimento, la purezza del loro pensare; dove ponga ciascuno la mira, per cooperare al bene degli altri, senza pretese né vanità, col sacrificio dei suoi diritti di cittadino, di scienziato o di artista, e riguardando esclusivamente a quanto giova e serve fruttuosamente per la vita, in vantaggio della cultura puramente umana: – tutto ciò lo potrete ricavare e distinguere da voi medesimi, secondo quel che si é detto. Per ora vogliamo occuparci in comune solo dell’istruzione massonica, e una volta considerato il suo contenuto, indagare ancora come pur possa sorgere, propagarsi ed accrescersi un tale istruzione? Teniamoci costantemente fermi anche in questa indagine, come in tutto ciò che precede, al punto di partenza di un profano, che nulla sappia, [nemmeno] storicamente, dei misteri e dell’Ordine, tranne quanto generalmente si conosce, ma che brami di progredire con amore di verità e logica coerenza. Finché, nello stato di natura, gli uomini non si educano propriamente da sé, e cioè con coscienza, riguardo e secondo una regola, ma vengono educati dalle circostanze, a cui essi dolorosamente si sottomette: non é certo ancora il caso di parlare di quella cultura, alla quale soltanto qui pensiamo, né in forma pubblica, nella maggiore società civile, né in forma segreta, in una più ristretta e separata associazione. Per il momento, l’umanità non si matura, in tali condizioni, se non alla capacità di un’educazione riflessa e calcolata. Ma viene questa maturità: è sorgono classi particolari, istituzioni religiose o [almeno] un sacerdozio, leggi, costituzione e autorità; sorge, in una parola tutta quella condizione del genere umano. Siccome, secondo la mia ipotesi, tutti provengono dal medesimo punto, dallo stato di natura, non può essere da principio molto notevole la diversità della loro cultura, né diventar molto grande l’unilateralità e la deficienza di questa cultura. Ma il processo di separazione continua: le nuove stirpi umane sono d’ora in poi generate in una certa classe e per una certa condizione sociale. Ad ogni nuova generazione le diverse classi si trovano sempre più nettamente staccate l’una dall’altra; indi a poco a poco, insieme ai vantaggi dell’educazione sociale, vengono a introdursi i suoi sopra descritti svantaggi, – e con questi anche l’esigenza di portar loro rimedio per l’unica via possibile, cioè mediante un’associazione separata. Non m’é ignoto, che in parecchi stati e ordinamenti politici, specialmente del mondo antico, esistevano molteplici correnti e istituzioni affatto pubbliche, le quali si opponevano a una tale netta separazione delle classi, quale la constatiamo nel mondo moderno, e procuravano un certo equilibrio nella loro evoluzione generale. Ma so altresì, che queste correnti esistevano però solo nei più piccoli stati del mondo antico, e che anche in quelli esse erano ben lontane dal produrre un pieno equilibrio. In una parola: le deficienze dell’educazione umana, che, secondo le nostre conclusioni, possono essere eliminate solo mediante un’associazione quale noi concepiamo la massonica oggi esistente, debbono essere tanto antiche quanto l’ordinamento sociale: posto che sono una conseguenza necessaria di questo. ma se esse sono esistite, vi son pure sempre stati senza dubbio, anche degli uomini eccellenti, che le hanno osservate. Ma se esse sono state osservate, senza dubbio quei medesimi che le osservano hanno ad un tempo trovato altresì l’unico mezzo possibile per mettervi rimedio, quello [cioè] della segregazione in società chiuse, rivolte allo scopo della cultura puramente umana, e si sono uniti con altre persone della stessa idea per attuare i loro disegni. É dunque sommamente verisimile, che accanto alla cultura pubblica vi sia sempre stata nella società una cultura segreta, che è proceduta di pari passo con la prima, con essa é ascesa e caduta, ed ha avuto su quella un influsso inosservato, a sua volta godendo o soffrendo essa stessa per l’influsso dell’altra: come ad esempio Pitagora e la sua famosa lega negli stati della Magna Grecia. Poniamo adunque, come prima proposizione che meriti il nostro interesse, la tesi seguente: può ben darsi che, fin dove giunge a risalire la storia, vi siano sempre state istituzioni educative segrete, ossia separate, e che si debbono necessariamente separare, da quelle pubbliche. Queste istituzioni segrete costituiscono sicuramente una Tradizione continua attraverso tutta la Storia Soltanto là non trova posto [alcun] istituto segreto di cultura, dove non c’é neppure alcuna istituzione pubblica, per opera della maggiore società ordinatamente costituita. Fra rozzi selvaggi o in mezzo a popoli di pastori erranti non occorre nessuna istituzione per cancellare l’unilateralità del sacerdozio o della legislazione, dato che essi non si sono nemmeno elevati fino ad avere un sacerdozio e una legislazione. Tra loro non si debbono cercare pertanto misteri di sorta, poiché si tratta di assurda superstizione; nessun mistero che corregga e innalzi la verità autorizzata della nazione, poiché essi non hanno ancora neppure una verità nazionale. Ma quale cammino abbia preso la pubblica cultura, noi lo sappiamo con qualche certezza dalla pubblica storia. É vero che l’origine e la fonte prima di questa cultura si nascondono in una segreta oscurità, o si avvolgono nella poesia mitica: e abbiamo anzi trovato, anche posteriormente, popoli dotati di alta cultura (pensate per ora soltanto agli indiani e ai cinesi), la cui storia culturale non si riattacca per nulla alla catena, su cui stendiamo lo sguardo, né forma di essa anello alcuno, e che da soli ricondurrebbero a una alta scaturigine di civiltà della nostra specie, che non sia quella conosciuta dalla nostra storia. Frattanto però, lasciate da parte queste considerazioni, possiamo sorgere anche nella nostra storia un progresso e una ininterrotta catena di civiltà, che procede dagli egiziani ai greci, da questi ai popoli dell’Asia minore, da questi di nuovo ai greci, dai greci ai romani, e da questi, dopo la fusione con il cristianesimo sorto frattanto in oriente, fino ai moderni europei. In tutto questo processo ci fu bisogno di istituzioni segrete di cultura: é verosimile, [così] suona la nostra prima proposizione sopra enunciata, che ve ne siano effettivamente state. Tutta quanta la cultura pubblica nella suddetta serie di tempi e di popoli é sempre una e medesima cultura, un filone compatto, che agevolmente assume l’impronta del carattere nazionale di ciascun popolo a cui esso perviene, e che si accresce e si perfeziona per i progressi dello spirito umano presso ciascun popolo. È pertanto sommamente verosimile – e questa é la seconda natural conseguenza da noi ricavata, restando dal punto di partenza del profano – che una simile e compatta catena di cultura segreta si sia snodata accanto a quel filone di cultura pubblica giù per gli stessi tempi e popoli, e, precisamente come la pubblica, sia pervenuta fino ai nostri tempi; é possibile che, come si congiunse alla pubblica cultura il cristianesimo proveniente da un’altra origine, nella stessa epoca anche la cultura segreta esistente si sia annessa la cultura segreta degli stessi popoli orientali, dalla cui pubblica cultura sorse il cristianesimo. La forma didattica di queste istituzioni deve essere metaforica, e quindi segreta: né può usare altro che la comunicazione orale Per quel che riguarda la cultura pubblica, fu indiscutibilmente opportuno, siccome ciascuno deve avere ad essa, per quanto ne sia capace, il più facile accesso possibile, ch’ella fosse esposta in durevoli monumenti, a misura che fu ritrovata l’arte di rendere fissi e visibili all’occhio i pensieri veloci e la parola fugace. Ma alla cultura segreta deve poter accedere, giusta la sua essenza, non già chiunque, ma solo colui, che é già passato attraverso la cultura pubblica e da essa é già perfezionato al possibile. – La cultura segreta, com’é chiaro per tutto quanto si é detto, non può precedere a quella pubblica, ma piuttosto presuppone essa stessa la pubblica; tanto meno può andare di pari passo con questa, senza che vengano avviliti gli scopi di entrambe: ma può facilmente seguirla. Ora, si può peraltro arrivare – lasciate ch’io distingua questo punto con perpetua cura – alla méta vera e propria di ogni cultura segreta, alla educazione puramente umana per due vie: o da sé solo, con l’ingegno e il profondo riflettere e indagare, con l’educazione del proprio spirito e del proprio cuore secondo i risultati di tal riflessione; o per mezzo della società – che in tal caso non può essere la società più vasta e civile (poiché appunto in questa ebbe luogo cotale situazione isolata), ma solo una minore e separata associazione. Nel primo caso la nostra idea, poiché essa é sorta lungo la via del riflettere, assume la forma della riflessione: si viene ad argomentare, dialettizzare, dimostrare, a contrapporre e provar sillogismi. – Nulla impedisce che in questa forma la si predichi di sui tetti, o, se altrimenti si vuole, la si metta in carta, si faccia stampare, e così via. Così, per trarre dal fatto l’esempio illustrativo, è ben possibile che io abbia cercato di esporre, secondo la migliore mia scienza e secondo le mie forze, l’intimo spirito di tutti i misteri possibili, e in nessun punto mi sia trattenuto e chiuso in me, servendomi continuamente della forma del ragionamento e del consueto linguaggio. Ma io sono in pari tempo certissimo di non aver comunicato né a voi né a qualsiasi altro neppur la minima parte di quanto egli non può sapere né io posso svelare. E così si trovano alla portata di tutti, in tutte le librerie, libri che, sebbene trattino della Massoneria, pure di Massoneria non rivelano neppure una sillaba; ma per contro – fatene diligente osservazione – in tutte le librerie si trovano altresì libri di massoni e di non massoni, che della Massoneria non dicono neanche una parola, i cui autori forse nulla sanno di Massoneria, e che tuttavia sono interamente e genuinamente massonici. Perciò, ripeto, nulla impedisce che si divulghino in questa forma i misteri, poiché si divulga soltanto il discorso o lo scritto, non i misteri; chi non l’ha già in sé, non l’afferrerà mai. Per costui quel discorso si muta in una serie di suoni incomprensibili, quello scritto in carta bianca; o, quando pure egli ne ricavi un senso, si tratta di un senso ben subordinato e incompiuto, non mai di quello integro e pieno a cui mirava l’esposizione. In questo caso si disputa, e insieme si conchiude un trattato di spartizione, [per stabilire] fino a qual punto si voglia far valere la tesi sostenuta, e fino a quale no; e con ciò si acquista pur sempre qualcosa, per lo meno si prepara la strada alla verità. Ma il non intendere o il fraintendere porta ben piccolo danno, che tanto vale come nessun danno addirittura. Perché, in ultima analisi, che cosa è mai che viene frainteso, se non un filosofema? A che cosa mai tocca, per questo, rovina se non, tutto al più, alla gloriola dell’autor primo di tal filosofema, il quale, quando abbia anche solo un barlume di vero spirito, non ripone nella sua gloriola alcun valore? Ma per quel che concerne poi il secondo caso, poiché ciascuno riceve la cultura puramente umana per mezzo d’una società segreta (il che vale, semplicemente, « separata »), l’istruzione destinata alla società chiusa dovette agevolmente far ricorso a una forma affatto diversa: non a quella del ragionamento, elle invita alla disputazione, in quanto fornisce dei principi, stimola a cercare di questi principi la prova, e non vuole estendere le proprie affermazioni più in là di quel che si estendano i suoi principi: ma [a quella racchiusa] nella semplicissima espressione: « una volta che é così, così sappiamo: e così saprà ciascuno elle si ponga al nostro livello ». – Questa istruzione dovette rivolgersi, non già, come la prima, esclusivamente all’intelletto, ma piuttosto all’integra natura dell’uomo, e quindi non permettere la discussione propriamente detta: dovette infine, poiché essa discende, secondo l’ipotesi, dalla più grigia antichità, essere involta in espressioni e immagini metaforiche. Se un tale insegnamento perviene a coloro che non ne sono ancora capaci, esso sarà, come senz’altro s’intende, altrettanto poco compreso, quanto la prima sua forma filosofante e raziocinante. Ma contro di esso non si discute, né si procede a dettare trattati perché esso medesimo non ne offre alcuno e vuole essere accolto nella sua integrità: bensì lo si rigetta tutto insieme come profondamente falso e fanatico, o, se si resta attaccati alle immagini, come pieno di controsensi e assurdo; lo si dà in balìa alle risate universali. Sennonché, d’ora in poi, non é più biasimato, come nel primo caso, un individuo, ma avvilita per sempre una società assolutamente necessaria. Questo insegnamento della società separata – ed a ciò io volevo accennare – non poteva quindi essere esposto in durevoli monumenti, a vantaggio di chiunque potesse venir condotto dal caso a considerarlo: soltanto a colui, del quale fosse maturamente provata e inquisita la capacità recettiva, poteva essere comunicato. Ma in chi tuttavia non l’intende, esso muore prima di nascere; mentre a chi realmente lo comprende e rispetta, com’é suo dovere, dona sicuramente, ma non senza circospezione, anche di più. – Poiché tuttavia si potrebbe errare in quella disamina delle persone, si dovette servirsi di mezzi esteriori, quali sono le proibizioni solenni, per assicurarsi la segretezza, anche riguardo alle forme esterne. E ora sono alla mia terza e significativa conseguenza: é sommamente verosimile, e così argomento, che là dottrina segreta potesse venir propagata solo per mezzo della tradizione orale, senza punto ricorrere alla tradizione scritta; anzi la comunicazione scritta dovette essere rigorosamente proibita. – Perciò la nostra ipotesi, più sopra enunciata, che una catena ininterrotta di cultura segreta accanto alla pubblica sia discesa giù dall’antichità fino ai nostri tempi, deve aver avuto fondamento, in quanto si dovette cercare la dottrina segreta, non già nei libri, ma in una tradizione orale che ancora perdura; la quale ipotesi sembra essere confermata anche dalla circostanza che al tempo dell’origine dei più antichi misteri non si sapeva ancora bene come redigere le idee in iscritto, e così nelle cose segrete e sacre si rimane ordinariamente al vecchio metodo. Conosco benissimo tutti gli svantaggi della trasmissione orale, e tutta quanta la difficoltà di portare alcunché alla condizione di verità dimostrabile, lungo la serie degli anelli di una tal tradizione; ma so altresì che si possono pure trovare, con la semplice riflessione e senza erudizione storica, dei rimedi a quegli svantaggi e dei chiarimenti a quella difficoltà che é certamente, possibile, in una parola, dimostrare l’autenticità di una tal tradizione orale, sebbene lo svolgerla mi condurrebbe troppo lontano. Da un’osservazione soltanto, che qui mi s’impone e ch’io stimo importante, non posso astenermi: ed è la seguente. Non poteva mancare che una cultura segreta, realmente esistente, influisse sulla [cultura] pubblica; che molte circostanze della storia profana, che stanno in essa come spezzate, si possano pienamente comprendere partendo dalla storia della cultura segreta; e che alcune personalità, le quali furono anelli della tradizione segreta, compaiano ad un tempo come notevoli figure nella storia profana. Pertanto si può ben pensare che la storia profana possa venir spiegata movendo dalla segreta. Ma viceversa, in conseguenza dei principi fondamentali testé enunciati, era necessario che i possessori della dottrina segreta lasciassero tosto cadere tutto ciò che per una qualche lor colpa veniva a conoscenza del pubblico, se ne estraniassero e non continuassero più a costruirvi sopra; che quindi la storia segreta della cultura non si possa convenientemente dimostrare per mezzo della profana, e nessun dato di questa possa essere a un tempo dato di quella. Quel poco che giungeva in mani profane, già per questo cessava di costituire una parte della sapienza riposta; sicché i tentativi di ricostruire una storia, segreta partendo dalla profana debbono condursi con gran precauzione. Il contenuto di questa istruzione non può essere altro che la sapienza della cultura universalmente umana, che ogni epoca deve cercare nei misteri. Così, nell’esposta maniera, potrebbe dunque realmente essere sorto e pervenuto fino ai nostri tempi un insegnamento, che ora fosse confermato in seno a una separata società. Ma qual valore e quale significato poté avere questo insegnamento disceso giù per la sequela dei tempi? Domando io]]>