Mircea Eliade, Lo spazio sacro: tempio, palazzo, “centro del mondo”, 1949

Ierofanie e ripetizione

Ogni cratofonia o ierofania trasfigura indistintamente il suo spazio: da profano, quale era inizialmente, il luogo viene elevato a spazio sacro. Ad esempio, per il Canaco della Nuova Caledonia, «nella boscaglia innumerevoli rocce, pietre forate, hanno un significato speciale. Un certo avvallamento è favorevole alla ricerca della pioggia, un altro è abitato da totem; una data località è infestata dallo spirito vendicatore di un ammazzato. L’intero paesaggio è animato in questo modo, i suoi minimi particolari hanno un significato, la natura è carica di storia umana» [Leenhardt]. Più precisamente, si potrebbe affermare che, attraverso le cratofanie e le ierofanie, la natura subisce una trasfigurazione, caricandosi di miti. Partendo dalle osservazioni di A. R. Radcliffe-Brown e A. P. Elkin, Lévy-Bruhl ha messo in luce felicemente la struttura ierofanica degli spazi sacri: «Per quegli indigeni, la località sacra non si presenta mai isolatamente allo spirito; essa fa sempre parte di un complesso che comprende con essa le specie animali e vegetali che vi abbondano in certe stagioni, gli eroi mitici che in quel luogo hanno vissuto, errato, creato, e che spesso si sono incorporati al suolo, le cerimonie che vi sono state celebrate periodicamente, e infine le emozioni suscitate da questi complessi» [Lévy-Bruhl]. Secondo Radcliffe-Brown, l’elemento centrale di questo complesso è “il centro locale totemico”, e in molti casi si osserva un legame diretto, una “partecipazione”, come dice Lévy-Bruhl, tra i centri totemici e alcune figure mitiche che, all’origine dei tempi, crearono tali centri.

In questi spazi ierofanici si sono realizzate le rivelazioni primordiali; è in questi luoghi che l’uomo venne iniziato alle modalità di alimentarsi e di garantire la continuità delle sue riserve alimentari. Di conseguenza, tutti i rituali alimentari celebrati all’interno dei confini della zona sacra, del centro totemico, non sono che l’imitazione e la ripetizione dei gesti compiuti “in illo tempore” dagli esseri mitici. «In questo modo, gli eroi dei tempi passati (del periodo mitico, “bugari”) facevano uscire dalle loro tane i bandicoot, gli opossum e le api» [Elkin]. In effetti, la nozione di spazio sacro implica l’idea della ripetizione della ierofania primordiale che ha consacrato quello spazio, trasformandolo e isolandolo dallo spazio profano circostante. Il capitolo successivo mostrerà come un’analoga concezione di ripetizione sia alla base della nozione di tempo sacro, e fondi sia i numerosi sistemi rituali che le speranze religiose dell’uomo per la propria salvezza personale.

Uno spazio sacro trae la propria validità dalla permanenza della ierofania che, una volta, lo ha consacrato. Ecco perché una certa tribù della Bolivia, ogni volta che sente il bisogno di rinnovare la sua energia e vitalità, torna al luogo che considera la culla dei suoi antenati [Elkin]. La ierofania, dunque, non solo ha santificato una porzione di spazio profano, ma assicura anche che questa sacralità perduri nel futuro. Là, in quella zona, la ierofania si ripete. Il luogo diventa così una fonte inesauribile di energie e sacralità, che, a condizione che l’uomo vi penetri, gli concede la partecipazione a tale forza e la comunione con la sacralità.

Questa percezione elementare del luogo, che attraverso la ierofania diventa un “centro” permanente di sacralità, governa e spiega l’intero sistema di riti, spesso complessi e articolati. Ma, per quanto variegati possano essere gli spazi sacri, tutti possiedono un tratto comune: esiste sempre una zona ben definita che consente la comunione con la sacralità, sotto forme talvolta molto diverse. La continuità delle ierofanie spiega la perennità degli spazi consacrati.

Proseguendo nella cura dei loro luoghi segreti tradizionali, gli australiani non sono influenzati dalla pressione di interessi economici. Infatti, come osserva Elkin, una volta che sono entrati al servizio dei bianchi, gli indigeni dipendono da loro per il sostentamento e la vita economica. Tuttavia, si recano in questi luoghi per cercare di preservare la continuità della loro solidarietà mistica con il territorio e con gli antenati, fondatori della civiltà del clan. La necessità avvertita dagli australiani di mantenere il loro contatto con gli spazi ierofanici è essenzialmente religiosa: si tratta del bisogno di restare in comunicazione diretta con un “centro” che produce sacralità. Perciò, questi centri difficilmente perdono il loro prestigio, e passano come un retaggio da una popolazione all’altra, da una religione alla successiva. Le rocce, le sorgenti, le grotte, i boschi venerati nella protostoria continuano, sotto forme variabili, a essere considerati sacri dalle popolazioni cristiane odierne. Un osservatore superficiale potrebbe confondere questo aspetto della religiosità popolare con la “superstizione” e interpretarlo come una prova che ogni vita religiosa collettiva è largamente costituita da eredità preistoriche. In realtà, la persistenza dei luoghi sacri dimostra l’autonomia delle ierofanie: il sacro si manifesta secondo le proprie leggi dialettiche e si impone all’uomo DALL’ESTERNO. Supporre che la “scelta” dei luoghi sacri sia lasciata agli uomini rende incomprensibile la continuità degli spazi sacri.

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