Giovanni Gioviano Pontano, nato a Cerreto di Spoleto (PG) il 7 maggio 1429 – morto a Napoli, il 17 settembre 1503, fu un letterato e uomo politico italiano, esponente di spicco dell’Umanesimo e a capo della Accademia Pontaniana. Fu per diciotto anni al servizio dei sovrani aragonesi. a Napoli, dal 1477 presso la corte di Alfonso I d’Aragona e successivamente (1466-1486) al seguito del principe ereditario Alfonso duca di Calabria. Manifestò anche le sue doti di abile diplomatico durante la guerra di Ferrara che vide Napoli (assieme a Firenze e al papa Sisto IV) contrapporsi a Venezia e quando riuscì nell’intento di riappacificare il re Ferrante I (di cui fu primo ministro) con papa Innocenzo VIII (lo stesso che lo stimava a tal punto da laurearlo poeta). Fu riconosciuto, già dal Sannazzaro come uno dei più fecondi letterati del Quattrocento e forse il maestro assoluto dell’Umanesimo napoletano, abbracciando oltretutto, la sua opera, numerosi aspetti della vita culturale (non soltanto letteraria) della sua epoca: dall’astrologia, all’etica, all’analisi della società, alla retorica, alla botanica. Fu un grande studioso dell’antichità classica ed ebbe grandi doti di poeta latino, eccellendo anche nella prosa e riuscendo spesso a sintetizzare la lingua classica con neologismi e termini in volgare, come dimostrò nelle sue opere Amorum libri del 1455-1458, Lyra, Versus jambici, Hendecasyllabi, De amore coniugali, Tumuli, Neniae, De hortis Esperidum del 1501. Le opere di Pontano, spesso di difficile datazione, sono numerose ed eterogenee per argomenti trattati e furono raccolte da Pietro Summonte e dal Sannazzaro. In esse prevale senz’altro l’uso della lingua latina, sia nella produzione in versi che in quella in prosa, ma sempre con uno sguardo alla realtà ed un riferimento a fatti dell’età contemporanea. Tra esse non possono non essere menzionate: Amorum libri (1455-58) Charon (1467-91) Urania (1476) Asinus (1486-90) Antonius (1487) Meteororum libri (1490) Hendecasyllabi seu Baiarum libri (1490-1500) I Doveri del Principe (1493) De liberalitate (1493) Lepidina (1496) Actius (1499) Aegidium (1501) Gli Orti delle Esperidi (1501) De fortuna (1501) Prese spesso parte ad imprese militari tra le quali vanno menzionate la battaglia di Troia contro gli Angioini (1464), la riconquista di Otranto (1481), oltre alla già ricordata guerra di Ferrara (1482-1484). Le sue fortune a corte andarono scemando allorché re Ferrante fu esiliato da Napoli nel 1495 e, dopo il ritorno del sovrano aragonese fu accusato di aver parteggiato per il re Carlo VIII di Francia, riuscendo tuttavia ad evitare una condanna, sebbene dovette abbandonare l’intensa attività politica per dedicarsi ai suoi studi. Fu in questi anni che curò l’edizione della maggior parte delle sue opere, succedendo al suo maestro, Antonio Beccadelli (detto il Panormita) alla guida dell’Accademia Porticus Antoniana (1471) e che diventerà in seguito prendendo da lui il nome, Pontaniana. La Cappella Pontano Fu fatta costruire da Giovanni Pontano nel 1492 per il culto e la memoria della consorte Adriana Sassone. La struttura, d’ispirazione classica a forma rettangolare, su di un alto basamento ed e inquadrata da lesene di ordine composito che sorreggono una sobria trabeazione. L’esterno presenta due portali di marmo, entrambi sovrastati da epigrafi con stemmi della Famiglia e piccole finestre, con ai lati lastre marmoree riportanti iscrizioni latine. Nella parte retrostante l’altare, è affrescato un trittico raffigurante la Madonna con I Santi Giovanni Battista Evangelista (fine sec. XV). Di pregevolissima fattura la pavimentazione di mattonelle invetriate delle fine del sec. XV, raffiguranti gli stemmi del Pontano e della moglie nonchè motivi geometricl, vegetali e animali.
Giovanni Pontano AlchimistaCristianesimo e Alchimia di Padre Antonio Gentili e Alessandro Orlandi Un fuoco detto “Contro Natura”, “che corrompe il composto che la natura aveva formato e ottiene i primi mutamenti della dissoluzione” (Santinelli, “Lux obnubilata”). Quest’ultimo fuoco è il fuoco segreto degli alchimisti i quali, soli, sanno come prepararlo. Tale fuoco, utilizzato secondo i diversi “regimi”, serve per il compimento dell’intera Opera. È detto anche “Bagno Maria” e “Acqua che non bagna le mani” e “compie in poco tempo ciò che il sole esterno produce in centinaia di anni nelle viscere della terra” (ibidem). Nella fase iniziale, che precede l’Opera al Nero, il fuoco è descritto anche come un solvente o un acido potentissimo, talvolta noto come Leone Verde, e la sua azione, intesa in senso psichico [8], consiste nella retrazione delle proprie proiezioni dal mondo esterno. Tale solvente è descritto dagli alchimisti come “Fuoco Umido” che “lava le mani” e purifica dissolvendo e distruggendo tutte le cose. L’Alchimista Giovanni Pontano (XVI secolo) nella sua lettera sul Fuoco Filosofico dà le seguenti indicazioni: Prima fatti padrone assoluto delle tue passioni, dei tuoi vizi, delle tue virtù; devi essere il dominatore del tuo corpo e dei tuoi pensieri, poi accendi, o sveglia, per meglio dire, nel tuo cuore per immaginazione, il centro del fuoco […] e fissa tale sensazione nel tuo cuore […]
La Lettera sul Fuoco Filosofico di Giovanni PontanoLa “Lettera sul Fuoco Filosofico” di Giovanni Pontano si trova nel manoscritto n° 19969 nella Regia Biblioteca Nazionale di Parigi ed è del sedicesimo secolo. Il Fuoco Filosofico Da Lettera di Giovanni Pontano sul “Fuoco Filosofico”, introduzione, traduzione e note di Mario Mazzoni, Atanor. La “Lettera sul Fuoco Filosofico” di Giovanni Pontano è scritta in latino e in caratteri paleografici; ne diamo la traduzione che è la prima nella nostra lingua: “Io Giovanni Pontano ho percorso molti paesi per conoscere qualche cosa intorno alla pietra filosofale, ma girando quasi tutto il mondo ho trovato soltanto degl’imbroglioni e non dei filosofi. Tuttavia studiando sempre e moltiplicando le prove ho trovato la verità; ma dopo essere riuscito a conoscere la materia, sbagliai infinite volte prima di trovare la vera operazione e la pratica. Dapprima incominciai a far corrompere questa materia per nove mesi e non trovai nulla. La misi per qualche tempo in bagno e parimente errai. La posi per tre mesi in fuoco di calce e similmente operai male. Poi la trattai con ogni genere di distillazione, come dicono, o piuttosto sembra che dicano, i filosofi quali Geber, Archelao e quasi tutti gli altri. Finalmente tentai di compiere il soggetto di tutta l’arte alchemica con tutti i mezzi che sono pensabili, che si fanno per via di fimo, e del bagno e delle ceneri e per altri fuochi di vario genere che si trovano nei libri dei filosofi; ma non trovai nulla di buono. Perciò per tre anni di seguito studiai non nei libri dei filosofi, salvo il solo Ermete le cui parole più brevi comprendono tutta la pietra, per quanto egli parli oscuramente del superiore e dell’inferiore, del Cielo e della Terra. Il nostro istrumento dunque deduce essere nella materia e non nel primo, né nel secondo e non è fuoco di fimo, né fuoco di bagno, né di cenere, né degli altri fuochi che i filosofi han posto nei loro libri. Quale è dunque quel fuoco che perfeziona tutto dal principio alla fine? Certo i filosofi l’hanno tenuto segreto; ma io voglio rivelare le proprietà di codesto fuoco insieme col compimento di tutta l’opera. La pietra filosofale dunque è una e si chiama in più modi; prima che tu la riconosca ti sarà ben difficile. Infatti è acquea, aerea, ignea, terrea, flemmatica, sanguigna, malinconica, collerica, è anche sulfurea ed è parimenti argento vivo. E ha molte proprietà felici, che per opera dell’altissimo Dio si convertono in vera essenza mediante il nostro fuoco. E chi separa qualche cosa dal soggetto, ritenendo che ciò sia necessario, quegli per certo non ne sa nulla di filosofia, perché ciò che è superfluo, impuro, sudicio e di rifiuto, insomma tutta la sostanza del soggetto, si perfeziona in corpo spirituale sempre mediante il nostro fuoco. E questo i veri sapienti non l’ignorano mai. Perciò ben pochi pervengono all’arte, ritenendo che si debba rimuovere qualche cosa di superfluo e d’impuro. Ora bisogna dire le proprietà del nostro fuoco e se cioè convenga alla materia, e in qual modo, affinché si trasmuti con la materia. Quel fuoco non brucia la materia, niente separa dalla materia, né divide le parti pure dalle impure, come dicono tutti i filosofi, ma converte in purità tutto il soggetto; non sublima, come Geber fa le sue sublimazioni, similmente Arnoldo e altri parlando di 1 e di sublimazione. Rende perfetto in breve tempo. E’ minerale, acqueo, eguale, continuo, non evapora se non si faccia avvampar troppo, partecipa del sulfureo da altro che dalla materia, disgrega, scioglie, congela tutto e similmente calcina ed è artificiale, facile a trovarsi e a comporsi, senza spesa, o almeno con poca. Il nostro fuoco è minerale ed eterno, non evapora se non è eccitato oltre misura; partecipa dello zolfo, non proviene dalla materia; distrugge, dissolve, congela e calcina tutte le cose. Occorre molta abilità per scoprirlo e prepararlo; non costa nulla o quasi nulla. Inoltre è umido, carico di vapori, penetrante, sottile, dolce, etereo. Trasforma, non s’infiamma, non si consuma, circonda tutto, contiene tutto; infine è il solo della sua specie. Egli è ancora la fonte d’acqua vitale nella quale il re e la regina de la natura si bagnano continuamente. Questo fuoco umido è necessario in tutte le operazioni alchemiche, al principio, al mezzo e alla fine poiché tutta la scienza è in questo fuoco. E’ alla sua volta un fuoco naturale, soprannaturale e antinaturale, un fuoco alla sua volta caldo, secco, umido e freddo che non brucia, né distrugge. E quel fuoco è fuoco con investigazione, con mediocre contributo; e con fuoco languido tutto insieme produce tali. E chi legge Geber e tutti gli altri filosofi, se vivesse cent’anni, non riuscirebbe a comprenderlo, perché soltanto per mezzo della profonda riflessione si riesce a trovare quel fuoco. Allora si può capire nei libri e non prima. L’errore dunque di tutta codest’arte è il non trovare il fuoco che converta tutta la materia in vera pietra filosofale. Studia dunque ivi, perché se io l’avessi trovato prima, non avrei errato infinite volte nella pratica sopra la materia. Perciò non mi meraviglio se tanti e tanti grandi uomini non arrivano all’opera: errarono, errano, ed erreranno infinitamente perché non posero l’agente proprio i filosofi, eccettuato uno che si chiama Artefio; ma questi dice poco; e se io non avessi letto Artefio non sarei mai arrivato al compimento dell’opera. La pratica invero è questa; si prenda la materia e il più accuratamente possibile si triti con tritura filosofica e si metta al fuoco e la proporzione del fuoco si conduca in modo tale che ecciti semplicemente la materia, la tocchi tuttavia e in breve tempo quel fuoco, senz’altra apposizione di mani, celermente compirà tutta l’opera, perché putrefarà, corromperà, genererà e perfezionerà e farà apparire i tre colori principali, nero, bianco e rosso, mediante il detto fuoco molteplice; si aggiunga poi materia cruda non solo nella qualità, ma nella virtù. Sappi dunque cercare con tutte le tue forze questo fuoco e ci arriverai, perché è quello che compie l’opera ed è la chiave di tutti i filosofi che non hanno mai rivelato; ma se tu indagherai bene e profondamente le cose sante, la proprietà del fuoco la conoscerai e non altrimenti. Io invero ho scritto questo non mosso da pietà, ma per soddisfare il desiderio di tanti. Il fuoco non si trasmuta insieme con la materia, perché non è materia, come ho detto più sopra. Questo dunque ho voluto dire e ammonire i prudenti affinché non consumino inutilmente il loro danaro, ma sappiano così e non altrimenti potranno giungere alla verità. Per l’Esercizio “Bisogna eleggere un luogo, nel quale non si sentì strepito di alcuna maniera, all’oscuro o al barlume di un piccolo lume così dietro che non percuote negli occhi, o con occhi serrati. In un tempo quieto et quando l’uomo si senti spogliato d’ogni pasione tanto del corpo quanto dell’animo. In quanto al corpo, non senta nè freddo nè caldo, non senta in alcuna parte dolore, la testa scarica di catarro e da fumi del cibo et da qualsivoglia umore; il corpo non sia gravato di cibo, nè abbia appetito nè di mangiare, nè di bere, nè di purgarsi, nè di qualsivoglia cosa; stia in luogo posato a sederer agiatamente appoggiando la testa alla man sinistra o in altra maniera più comoda… l’animo sia spogliato d’ogni minima passione o pensiero, non sia occupatonè da mestizia o dolore o allegrezza o timore o speranza, non pensieri amorosi o di cure famigliari o di cose proprie o d’altri; non di memoria di cose passate o di oggetti presenti; ma essendosi accomodato il corpo come sopra, dee mettersi là, et scacciar dalla mente di mano in mano tutti i pensieri che gli cominciano a girar per la testa, et quando ne viene un’altro, subito anco lui scacciare insino che non ne venendo più, non si pensi a niente al tutto, et che si resta del tutto insensato interiormente et esteriormente, et diventi immobile come se fussi una pianta o una pietra naturale: et così l’anima non essendo occupata in alcuna azione nè vegetabile, nè animale, si ritira in sè stessa, et servendosi solamente degli istrumenti intellettuali, purgata da tutte le cose sensibili, non intende le cose più per discorso, come faceva prima, ma senza argomenti e conseguenze: fatta Angelo vede intuitivamente l’essenzia di tutte le cose nella loro semplice natura, et però vede una verità pura, schietta, non adombrata, di quello che si propone speculare: perciocché avanti che si metta all’opra, bisogna stabilire quello di che si vuole o speculare o investigare ed intendere, et quando l’anima si trova depurata proporselo davanti, e allora gli parrà di avere un chiarissimo e risplendente lume, mediante il quale non glie si nasconde verità nessuna. E allore si sente tal piacere e tanta dolcezza che non vi è piacere in questo mondo che a quello si possa paragonare: nè anco il godimento di cosa amatissima e desideratisi ma non ci arriva a un gran pezzo. In tale maniera che l’anima pensando di avere a ritornare nel corpo per impiegarsi nelle vil’opere del senso, grandemente si duole et senz’altro non ritornerebbe mai se non dubitasse che per la lunga dimora in tale estasi si spiccherebbe del tutto dal corpo. Perciocché quelli sottilissimi spiriti ne’ quali ella dimora se ne sagliano al capo, e però alcuni sentono un dolcissimo prorito nel capo, dove son gli strumenti intellettuali: e a poco a poco svaporano, i quali se tutti svaporassero senz’altro l’uomo morrebbe. Et però sono più atti a quest’estasi quelli che hanno il cranio aperto per la cui fessura possono esalare alquanto gli spiriti; altrimenti se ne raduna tanti nella testa che l’ingombrano tutta, et gli organi per così gran concorso si rendono inabili. Questa credo che sia l’estasi platonica, della quale fa manzione Porfirio, che da questa Plotino sette volte fu rapito, et egli una volta; essendoché di rado si trovan tante circostanze in un uomo: contuttociò in due o tre anni potrebbe succedere tre o quattro volte; et quelle cose che allora s’intendono bisogna subito scriverle et diffusamente, altrimenti voi ve le scordereste, e rileggendole poi non l’intenderesti.” Intendi: Sole=Oro=Zolfo=Anima=Cuore Prima fatti padrone assoluto delle tue passioni, dei tuoi vizi, delle tue virtù; devi essere il dominatore del tuo corpo e dei tuoi pensieri, poi[2] accendi, o sveglia, per meglio dire, nel tuo “cuore” per immaginazione, il centro del “fuoco”; cerca di sentire dapprima una specie di caloricità lieve, poi più forte. Fissa tale sensazione nel tuo “cuore”. Dapprima ti parrà difficile; la sensazione ti sfuggirà; ma cerca di mantenerla nel “cuore”; rievocala, ingrandiscila, diminuiscila a piacere; sottomettila al tuo potere; fissala e rievocala a volontà. Prova e riprova. Impadronisciti di questa forza e conoscerai il Fuoco Sacro o Filosofico. Fonte: http://iniziazioneantica.altervista.org/1400-1500/pontano/giovanni_pontano.htm [amazonjs asin=”8877993294″ locale=”IT” title=”Lettera sul «fuoco filosofico»”] [amazonjs asin=”B017I3QVUE” locale=”IT” title=”Napoli esoterica e misteriosa (eNewton Saggistica)”]]]>