Giordano Bruno volle essere un mago. Egli portò alle estreme conseguenze il discorso che Marsilio Ficino aveva appena iniziato.

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Così ce lo presenta la Yates che al suo pensiero ha dedicato approfondite ricerche:

Egli era un mago ermetico del tipo più radicale, con una sorta di missione magico religiosa (…) Egli conduce la magia rinascimentale alle sue fonti pagane, abbandonando i deboli tentativi di Ficino di elaborare una magia innocua (…), violentemente schernendo gli ermetici religiosi.

Nello Spaccio de la bestia trionfante Bruno cita in questi termini il lamento dell’Asclepio ermetico:

Non sai, o Asclepio, come l’Egitto sia la imagine del cielo …, la nostra terra è tempio del mondo. Ma, oimé, tempo verrà che apparirà l’Egitto in vano essere stato religioso cultore della divinitade (…) O Egitto, Egitto, delle religioni tue solamente rimarranno le favole (…). Le tenebre si preponeranno alla luce, la morte sarà giudicata più utile che la vita, nessuno alzerà gli occhi al cielo, il religioso sarà stimato insano, l’empio sarà giudicato prudente, il furioso forte, il pessimo buono. E credetemi che ancora sarà definita pena capitale a colui che s’applicarà alla religion della mente; perché si trovaranno nove giustizie, nove leggi, nulla si trovarà di santo, nulla di relligioso: non si udirà cosa degna di cielo o di celesti. Soli angeli perniciosi rimarranno, li quali meschiati con gli uomini forzaranno gli miseri all’audacia di ogni male, come fusse giustizia (…). Ma non dubitare, Asclepio, perché dopo che saranno accadute queste cose, allora il signore e padre Dio, governator del mondo, l’omnipotente provveditore (…) senza dubbio donarà fine a cotal macchia, richiamando il mondo all’antico volto.

 
L’egizianismo è, per Giordano Bruno, la “buona religione” che il cristianesimo ha distrutto e che occorre far rivivere. La Yates osserva: Tutto il tentativo ficiniano di costruire una theologia platonica cristiana, con i suoi prisci theologi e magi e con il suo platonismo cristiano, furtivamente permeato di alcuni elementi magici, era meno che niente agli occhi di Giordano Bruno, il quale, accettando in pieno e spregiudicatamente la religione magica egiziana dell’Asclepius (e trascurando i presunti preannunci del Cristianesimo contenuti nel Corpus Hermeticum), considerò la religione magica egiziana come un’esperienza teurgica ed estatica genuinamente neoplatonica, come un’ascesa verso l’Uno. E tale essa era di fatto, poiché l’egizianismo ermetico non era altro che l’egizianismo interpretato da neoplatonici della tarda antichità. Tuttavia non si risolve il problema dell’interpretazione di Bruno, riducendolo a un pedissequo continuatore di questo tipo di platonismo e considerandolo un semplice seguace di un culto misteriosofico egiziano, perché egli era stato certamente influenzato dal grande apparato messo in moto da Ficino e da Pico, con tutta la sua forza psicologica, le sue associazioni cabalistiche e cristiane, il suo sincretismo di diverse posizioni filosofiche e religiose, antiche o medievali, e con la sua magia. Occorre, inoltre, rammentare – e questo, secondo me, è uno degli aspetti più significativi di Giordano Bruno – che egli venne alla ribalta verso la fine del XVI secolo, di quel secolo che vide terribili manifestazioni di intolleranza religiosa, e nel quale si cercò nell’ermetismo religioso un rifugio di tolleranza, una via che portasse all’unione delle varie sette in lotta tra loro. Abbiamo visto che c’erano diverse varietà di ermetismo cristiano, cattolico e protestante, e che la maggior parte di esse rifuggiva dalla magia. A questo punto sopraggiunge Giordano Bruno, il quale prende incondizionatamente come base l’ermetismo magico egiziano, predica una specie di controriforma egiziana, profetizza un ritorno alla tradizione egiziana grazie al quale le difficoltà religiose si comporranno in una soluzione nuova; propugna, infine, anche una riforma morale, accentuando l’importanza di buone opere sociali, di un’etica rispondente a criteri di utilità sociale.]]>

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